Imprese del milanese, i giudizi e le previsioni sullo smart working

Promosso o bocciato? Lo smart working, la modalità di lavoro da remoto che ha visto un’accelerazione esponenziale soprattutto nei primi mesi della pandemia come viene giudicato dalle imprese che lo hanno adottato? Fermo restando che il lavoro a distanza è stato un “salvavita” per le aziende, ora – nonostante la variante Omicron abbia spinto tantissime realtà specie del settore privato a ritornarvi, qual è il giudizio? Risponde a questa domanda il sondaggio Ipsos “Le imprese milanesi ai tempi del Covid” – condotto per Laboratorio Futuro dell’Istituto Toniolo – che ha indagato le opinioni di aziende e lavoratori milanesi in merito allo smart-working ai tempi del Covid-19. Le principali evidenze sono che Il 43% delle aziende di Milano e provincia non ritiene possibile lo smart-working. Si tratta in questo caso di aziende di piccole dimensioni, localizzate nella provincia di Milano e operanti nel settore del commercio. Inoltre, il 47% delle aziende ritiene che lo smart-working sia applicabile solo per alcune funzioni e livelli aziendali.

Dubbi soprattutto sul recruitment a distanza

Venendo ai giudizi nel merito, alle aziende coinvolte nell’indagine è stato chiesto di valutare su una scala da 1 (pessimo) a 10 (eccellente), l’esperienza dello smart-working: il “voto” in questo caso è pari a 6,64. Le aziende più soddisfatte sono quelle dei comuni della prima fascia, di grandi dimensioni, nel settore del commercio.
Giudizio meno positivo per il reclutamento a distanza, che ha riguardato il 71,1% delle aziende. Il giudizio di questa esperienza è negativo: infatti il 78,6% dichiara che non farà ricorso al reclutamento a distanza in futuro. Invece, per quanto riguarda lo stage a distanza, l’8% del campione intervistato ha fatto questa esperienza e solo il 2,7% intende proseguirla. Su una scala da 1 (pessimo) a 10 (eccellente), la valutazione media complessiva dell’esperienza dello smart-working, espressa dalle aziende intervistate, è pari a 6,64. Le aziende più soddisfatte sono quelle dei comuni della prima fascia, di grandi dimensioni, nel settore del commercio.
Il reclutamento a distanza ha riguardato il 71,1% delle aziende e la valutazione media di questa esperienza è negativa, infatti il 78,6% dichiara che non farà ricorso al reclutamento a distanza in futuro. Invece, per quanto riguarda lo stage a distanza, l’8% del campione intervistato ha fatto questa esperienza e solo il 2,7% intende proseguirla.

Il voto dei lavoratori 

Su una scala da 1 (pessimo) a 10 (eccellente), la valutazione media complessiva dei lavoratori sul ricorso allo smart-working è pari a 7. Tra gli aspetti più apprezzati spiccano la produttività del lavoro e il work-life balance, invece, tra quelli più penalizzati troviamo il rapporto coi colleghi e quello con i superiori.

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Lavoro autonomo, quando si ritornerà a livelli pre Covid?

Se il lavoro dipendente sembra aver ripreso nuovo slancio dopo la pandemia, ritornando a numeri pari a quelli del periodo pre Covid, lo stesso non si può dire del lavoro autonomo. Sempre proprio essere questo l’ambito professionale più penalizzato dalla crisi: e, anche se a novembre 2021 si è registrato un lieve incrementi (+1,3%) rispetto al precedente mese di ottobre, i livelli del 2029 sono ancora lontani. A dirlo è un’analisi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che attinge dai dati Istat relativi al terzo trimestre del 2021.

350mila unità in meno nell’ultimo trimestre 2021

Negli ultimi tre mesi del 2021, riferisce Askanews, si è registrato un calo di 350 mila occupati rispetto allo stesso periodo del 2019, scendendo a quota 4 milioni e 940 mila. La perdita maggiore tra le donne: -131 mila occupate, ma anche tra gli uomini i valori registrati sono elevati, considerato un decremento complessivo di 219 mila indipendenti. La pandemia ha senza dubbio accentuato le criticità di un modello di lavoro, quello autonomo, che ha perso appeal tra i lavoratori, soprattutto i più giovani. Per quanto riguarda le fasce d’età, a fare le spese maggiori degli effetti della pandemia è quella fra i 40 e i 409 anni, che ha visto un calo di 223 mila soggetti. Cali più contenuti invece per gli autonomi fra i 50 e i 59 anni, con 60 mila lavoratori in meno.  Per quanto concerne i settori che hanno registrato le maggiori difficoltà spicca il commercio: rispetto al 2019, infatti, si sono persi più di 190 mila autonomi. Dopo questo seguono l’industria (43 mila unità in meno) e l’area dei servizi tecnici e professionali (34 mila autonomi in meno). 

Buono stato di salute per l’edilizia

In controtendenza, per fortuna, ci sono però altri settori: Il settore dell’edilizia, invece, registra un buono stato di salute, con un incremento del lavoro autonomo negli ultimi due anni del 2,8%. Anche sotto il profilo professionale si registrano tendenze diverse. Le professioni tecniche sono quelle più impoverite con quasi 100 mila occupati in meno nell’ultimo biennio. I dati non sono più confortanti per le professioni intellettuali e ad elevata specializzazione: rispetto al 2019, infatti, si sono persi 73 mila lavoratori. A penalizzare ancor di più questo mondo è la diversità di tutela rispetto al lavoro a tempo indeterminato. Secondo l’indagine condotta ad aprile 2021 da Fondazione Studi e SWG, due autonomi su tre hanno dichiarato che la pandemia ha avuto un impatto negativo (51,8%) o molto negativo (14,9%) sul loro lavoro e il 53,5% ha affermato di aver registrato una riduzione del reddito. E le previsioni per il 2020, avverte ancora l’analisi, sono al momento fra luci e ombre.

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Il commercio agroalimentare nella Ue a +6,1% nei primi nove mesi 2021

Gli ultimi dati sul commercio agroalimentare della Ue indicano che nei prmi nove mesi del 2021 le esportazioni sono aumentate dell’8%, attestandosi a 145,2 miliardi di euro, mentre l’aumento registrato dalle importazioni è del 3,5% rispetto ai primi 9 mesi del 2020, una crescita che ha permesso di raggiungere un fatturato complessivo pari a 94,2 miliardi.
Tra le esportazioni e le importazioni nel periodo da gennaio a settembre 2021 il valore totale del commercio agroalimentare della Ue ammonta quindi a 239,5 miliardi di euro, per un aumento del 6,1% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente.

L’export verso gli Stati Uniti sale del +15%

Questi dati riflettono un’eccedenza complessiva del commercio agroalimentare equivalente a 51 miliardi di euro per i primi nove mesi del 2021, pari a un aumento del 17% rispetto allo stesso periodo del 2020. La crescita maggiore delle esportazioni si registra verso gli Stati Uniti, per un aumento del 15%, principalmente grazie alle esportazioni di prodotti quali vino, acquaviti e liquori, ma anche cioccolato e dolciumi. In aumento anche le esportazioni verso la Corea del Sud, in virtù delle eccellenti performance del vino, della carne suina, del frumento e del frumento segalato, e le esportazioni verso la Svizzera.

Import: l’aumento maggiore è per i prodotti provenienti dal Brasile

Quanto alle esportazioni agroalimentari verso il Regno Unito nel 2021 hanno per la prima volta superato l’importo del corrispondente periodo dell’anno precedente, aumentando di 166 milioni di euro. Si segnalano al contrario riduzioni significative del valore delle esportazioni verso l’Arabia Saudita, Hong Kong e Kuwait.
Per quanto riguarda le importazioni agroalimentari, l’aumento maggiore è stato registrato per i prodotti provenienti dal Brasile, le cui importazioni sono cresciute di 1,4 miliardi, con un aumento del 16 % rispetto allo stesso periodo del 2020. In crescita anche le importazioni da Indonesia, Argentina, Australia e dall’India.

I più esportati: vino, acquaviti, liquori, olii di colza girasole, cioccolato e pasticceria

Per contro, diminuzioni considerevoli sono state rilevate nelle importazioni da diversi paesi, tra le quali la più significativa è la diminuzione di 2,9 miliardi, pari al 27%, delle importazioni provenienti dal Regno Unito, seguita da quelle provenienti da Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda e Moldavia.
Per quanto concerne le categorie di prodotti, riferisce Italpress, il periodo gennaio-settembre 2021 ha registrato un forte aumento dei valori di esportazione di vino, acquaviti e liquori. Altri significativi aumenti del valore delle esportazioni sono stati osservati per gli olii di colza e di girasole, il cioccolato e la pasticceria. Sono viceversa diminuite considerevolmente le esportazioni di alimenti per bambini e di frumento.

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