Come prepararsi a un colloquio di lavoro in inglese?

L’importanza dell’inglese nel mondo del lavoro è ormai un dato assodato. E’ questa una delle lingue più richieste nel contesto lavorativo, tanto da diventare quasi una competenza implicita in molte aree professionali. Edusogno, la startup di apprendimento online fondata da giovani talenti, offre 6 preziosi consigli per affrontare con successo un colloquio in inglese.

Trasparenza e onestà

Essere trasparenti riguardo alla propria competenza linguistica è fondamentale. Per questo è importante riportare correttamente il proprio livello sul curriculum in base al Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, e non mentire su eventuali certificazioni e soggiorni all’estero durante il colloquio: sono in gioco la nostra serietà e senso di responsabilità. Inoltre, condividere con il recruiter la volontà di intraprendere un percorso volto al miglioramento della lingua, può essere un gesto molto apprezzato.

Conoscere l’interlocutore

Fare ricerca sulla realtà aziendale dove si sosterrà il colloquio è cruciale per arrivare preparati. Essere consapevoli delle aspettative e delle opportunità di lavoro permette di discutere in modo efficace durante il colloquio.

Curriculum tradotto in inglese

Anche se si cerca lavoro in Italia, avere una versione del curriculum in inglese è un vantaggio imprescindibile, soprattutto considerando che molte aziende lo richiedono.  È importante quindi essere in grado di espore il proprio CV parlando della propria istruzione e delle esperienze lavorative con la stessa fluidità con cui si è in grado di farlo in italiano.

Preparare le risposte

Stilare domande e risposte in inglese aiuta a non trovarsi impreparati o spaventati in fase di colloquio. Essere pronti a parlare del proprio percorso di studi, esperienze lavorative e aspetti personali è la base per affrontare gran parte delle domande e rispondere in modo adeguato. Inoltre è bene prepararsi a rispondere anche in merito a passioni e attitudini personali, e alle curiosità più insidiose come ‘Tre pregi e tre difetti?’ o ‘Dove vorresti essere tra 5 o 10 anni?’. Esercitarsi a essere fluenti nelle risposte può davvero fare la differenza.

Essere proattivi

Preparare un breve argomento personale permette di rompere il ghiaccio all’inizio del colloquio e trasmettere sicurezza.

Simulare il colloquio

Fare una simulazione con un madrelingua o una persona fluente aiuta a individuare punti deboli e intervenire tempestivamente per migliorare.

“La competenza linguistica, soprattutto in inglese, è sempre più richiesta nel mondo del lavoro. Investire nella formazione linguistica è fondamentale per chi aspira a carriere di successo”, afferma Marco Daneri, direttore dell’istruzione di Edusogno.

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I papà italiani tra preoccupazioni, aspirazioni e cambiamento del proprio ruolo

L’ultima edizione dell’Osservatorio Eumetra Parents (and Grandparents) offre una fotografia dei papà italiani oggi, tra preoccupazioni, aspirazioni e cambiamento del proprio ruolo all’interno della famiglia moderna.
Anzitutto, la principale fonte di preoccupazione per i padri italiani è il tema economico, con un occhio particolare al rialzo dei prezzi (56%) e all’andamento dell’economia italiana (41%), seguiti dal cambiamento climatico (39%). 

E sebbene il 61% dei padri indichi una stabilità delle entrate, il 51% riferisce una diminuzione dei risparmi della famiglia. Inoltre, il 77% dei papà è preoccupato per il futuro, con un picco di ansia (85%) tra coloro che hanno figli tra 0 e 3 anni di età.

Un ruolo in mutamento all’interno della famiglia

“Il nostro Osservatorio – sottolinea Matteo Lucchi, ceo Eumetra – mette in luce un chiaro cambiamento all’interno delle dinamiche famigliari. I papà mostrano un maggior desiderio di protagonismo, anche nelle scelte o attività di cura quotidiana dei figli”.

Sebbene l’81% dei papà consideri il lavoro come chiave per la realizzazione personale, lo studio mostra come una percentuale non altrettanto elevata ritenga il proprio ruolo nella famiglia già sufficiente a questo scopo.
Il 91% pone i figli al primo posto, l’82% si sente realizzato come genitore, ma il 61% si sente sotto pressione o stressato. Nonostante ciò, quasi la metà dei papà si assegnerebbe un voto eccellente come genitore (tra 8 e 10), con una media complessiva di 7,4. 

Con i figli non si annoiano, ma vogliono regole rigorose

E ancora: l’82% afferma di non annoiarsi mai con i propri figli e il 74% impone regole rigorose. Inoltre, la questione di una maggiore conciliazione tra lavoro e genitorialità è sentita anche tra i papà, con il 39% che richiede maggiori supporti familiari e il 31% che riconosce la necessità di compromessi.

Come incentivo a un maggiore sviluppo della genitorialità tra le giovani generazioni, i papà mettono al primo posto un lavoro stabile e sicuro (24%), seguito da uno stipendio adeguato (22%), con solo il 16% che considera cruciale il sostegno economico dello Stato (tuttavia, il 52% lo giudica sufficiente).

Cosa significa essere genitori oggi?

Sulle questioni di genere, il 61% sostiene che sia giusto acquistare oggetti ‘appropriati’ per bambine e bambini, mentre l’uso di smartphone e tablet come supporto nel gestire i figli è una realtà per il 53% dei papà.
La gestione quotidiana della casa vede un impegno equo del 51% dei padri, con un 69% che condivide decisioni e responsabilità con la madre.

Per quanto riguarda gli acquisti, c’è una divisione dei compiti: alimentazione (66%), puericultura pesante (75%), giochi (78%), materiale scolastico (66%), farmaci (72%) e vacanze (75%).
Inoltre, l’81% dei papà parla o parlerà di sostenibilità con i figli, l’83% di inclusione e diversità e il 31% effettua acquisti tenendo conto della sostenibilità del prodotto.

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L’assenza di comunità, uno dei mali dell’epoca

Secondo una ricerca del Censis, dal titolo ‘La tentazione del tralasciare’, realizzata a cinquant’anni dal convegno diocesano su ‘I mali di Roma’ del febbraio ’74, oggi il male di cui occuparsi è l’assenza del senso di comunità, ovvero, il soggettivismo indifferente.
In un mondo in cui alla sovrabbondanza dei mezzi corrisponde un deficit di fini, è diffusa una forte dose di indifferenza, per cui vince l’attitudine al ‘tralasciare’, una sorta di peccato di omissione.

Inoltre, oggi ci troviamo di fronte a un paradosso: siamo una società fortemente soggettivista, ma con soggetti deboli, molto individualista, ma con una scarsa forza di affermazione individuale, parecchio egoista, ma fatta di ego fragili. 

Lo scarso senso di appartenenza dei giovani

Se al 66% degli italiani non piace la società in cui vivono, e la percentuale sale drammaticamente al 72% tra i giovani, solo il 15% sente di appartenere pienamente a una comunità al di là della propria famiglia.

Più della metà dei giovani non si sente parte di una comunità e di questi 3 su 4 non ne sentono neanche la mancanza. La percentuale di chi si riconosce pienamente in una comunità sale solo al 37% anche tra i cattolici praticanti.
Lo scarso senso di appartenenza a una comunità si sposa con la sensazione di contare poco nell’ambiente in cui si vive. Questo vale per il 48% degli italiani (60% giovani).

Alla ricerca di un senso profondo della vita: la dimensione spirituale

Complessivamente, però, per il 72% degli italiani la sfera spirituale è importante. Il 56% si sente parte del cammino dell’umanità, il 55% si interroga sul senso profondo della vita, il 54% avverte la mancanza di qualcosa che i beni materiali non possono dare.

Tuttavia, il 53% ritiene che il cammino interiore sia una esperienza soggettiva, da vivere individualmente, non in modo condiviso. E solo per il 19% una vita degna di essere vissuta è quella in cui si fa del bene agli altri.
Resta però un 28% di persone che coltivano la loro spiritualità partecipando ai riti religiosi secondo la propria confessione.

Poco altruismo, molti rammarichi

Solo il 18% degli italiani ritiene di non avere nulla da rimproverarsi. Il 64% pensa invece di non avere messo a frutto adeguatamente i propri talenti (percentuale che sale al 70% nell’età di mezzo, tra i 45 e i 65 anni). Appena il 18% si rammarica di non avere fatto di più per gli altri.

Insomma, la parabola dei talenti fa riflettere più della parabola del buon samaritano. Poi però il 64% prova sensi di colpa, soprattutto a causa del proprio egoismo.
“Dietro ogni momento di indifferenza tralasciante c’è una dinamica psichica che rinvia agli atteggiamenti soggettivi qui richiamati – commenta Giuseppe De Rita, presidente del Censis -. Riprendere oggi il filo del ’74 significa approfondire non più i mali di Roma, ma il cruciale male del soggettivismo indifferente”.

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