PMI, il cybercrime fa paura quasi quanto il drastico calo delle vendite

Addirittura più gravi di questioni legate all’affitto degli spazi lavorativi e all’introduzione di nuove normative: le piccole e medie imprese temono gli attacchi informatici quasi quanto un drastico calo delle vendite. Sono infatti questi due possibili scenari quelli che spaventano di più gli imprenditori: a dirlo è un recente sondaggio globale di Kaspersky, condotto su 1.307 decision-maker di aziende con un numero di dipendenti compreso tra 1 e 999. Sebbene i dati sintetizzati indichino che gli incidenti di cybersecurity siano il secondo tipo di criticità più difficile, superati dal forte calo delle vendite, gli intervistati che rappresentano le medie imprese (50 – 999 dipendenti) hanno valutato entrambe le tipologie come ugualmente complesse. Il 13% degli intervistati di piccole e medie aziende ritiene addirittura che gli attacchi online siano la sfida più impegnativa. I risultati della ricerca indicano anche che la probabilità di incorrere in un incidente di cybersecurity aumenta in base al numero di dipendenti dell’azienda. Sebbene solo l’8% delle organizzazioni con un numero di dipendenti compreso tra 1 e 8 abbia dichiarato di aver affrontato un incidente di sicurezza informatica, questa percentuale sale al 30% tra le aziende con più di 501 dipendenti. 

Un valore da proteggere

Le piccole e medie imprese andrebbero protette poichè contribuiscono in modo determinante all’economia globale: secondo la World Trade Organization, le PMI rappresentano il 90% di tutte le imprese del mondo. “Oggi gli incidenti di cybersecurity possono interessare le aziende di tutte le dimensioni e incidere in modo significativo su attività, redditività e reputazione. Tuttavia, come mostra il nostro report Incident Response analytics, nella maggior parte dei casi gli avversari sfruttano evidenti lacune nella sicurezza informatica di un’organizzazione per accedere alla sua infrastruttura e rubare denaro o dati. Questo suggerisce che le misure di protezione di base, accessibili anche alle piccole aziende, come efficaci policy di password, aggiornamenti regolari e la consapevolezza dei dipendenti in materia di sicurezza, se non vengono trascurate, possono contribuire in modo significativo alla cybersecurity dell’azienda”, ha commentato Konstantin Sapronov, Head of Global Emergency Response Team di Kaspersky.

Le raccomandazioni da mettere sempre in atto

Per mettere al riparo da eventuali cybercriminali il proprio patrimonio aziendale, compresi i dati dei dipendenti, vale la pena ricordare le classiche raccomandazioni suggerite dagli esperti. Si tratta di implementare la policy di password forti, richiedendo che la password di un account utente standard abbia almeno otto caratteri, un numero, lettere maiuscole e minuscole e un simbolo speciale. Ovviamente le password vanno modificate se esiste il sospetto che siano state compromesse: per essere più sicuri, si può adottare un sistema di sicurezza con un gestore password integrato. Ancora, è importante aggiornare regolarmente software e dispositivi e proteggersi dal ransomware  con soluzioni di sicurezza capaci di identificare e bloccare malware sconosciuti.

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Rivoluzione bio: il mercato italiano nel 2022

Le dimensioni del mercato italiano del bio segnalano la presenza di alcune trasformazioni, effetto sia della progressiva uscita dalla crisi pandemica sia della ritrovata socialità degli italiani. Negli ultimi 6 mesi, infatti, più di sei italiani su 10 hanno consumato prodotti biologici fuori casa, in bar, ristoranti, pizzerie. E nel 2022 le vendite alimentari bio hanno raggiunto 5 miliardi di euro, rappresentando il 3,5%delle vendite al dettaglio biologiche mondiali. Inoltre, nel 2022 l’89% delle famiglie italiane ha acquistato bio almeno una volta. Una quota stabile rispetto al precedente monitoraggio realizzato nel 2021 dall’Osservatorio SANA di BolognaFiere, curato da Nomisma.

I consumi fuori casa superano il miliardo di euro

A trainare la crescita sono i consumi fuori casa, che hanno superato il miliardo di euro (+53% a valore), grazie alla dinamica della componente legata alla ristorazione collettiva (+20%) e della ristorazione commerciale (+79%). I consumi domestici, dopo il trend positivo degli ultimi anni, accusano invece una flessione (-0,8%), che risente della battuta d’arresto registrata dalla rete dei negozi specializzati (-8% rispetto allo stesso periodo del 2021). Di contro, la Distribuzione Moderna conferma le dimensioni del 2021 (+0,8% a valore) mentre crescono del 5% gli altri canali (vendita diretta realizzata in mercatini e aziende, gruppi d’acquisto solidale, farmacie, parafarmacie ed erboristerie).

L’export bio cresce del +16% 

Molto positiva la performance dell’export bio, che nel 2022 ha raggiunto 3,4 miliardi di euro, con una crescita rispetto all’anno precedente del +16%. Sul fronte dell’offerta, l’Italia si conferma dunque Paese leader nel settore biologico per quota di superficie agricola, operatori ed export. Al tempo stesso, si registrano trasformazioni che riguardano i consumi interni: l’incidenza dei consumi bio sul totale dei consumi alimentari è ancora bassa rispetto ai principali paesi europei.

“Una leggera decrescita dei consumi domestici”

“Per la prima volta si registra una leggera decrescita dei consumi domestici, in controtendenza rispetto a quelli della ristorazione, commerciale e collettiva, e all’export – commenta Maria Grazia Mammuccini, Presidente FederBio -. É evidente a tutti che il quadro dei consumi negli ultimi due anni è stato stravolto dalle emergenze che si sono susseguite – continua Mammuccini -. È fondamentale infatti far crescere sia la produzione sia i consumi utilizzando al meglio gli investimenti stanziati per il comparto, quasi 3 miliardi di euro per i prossimi 5 anni, sostenendo gli agricoltori nella transizione agroecologica per tutelare l’ambiente, contrastare i cambiamenti climatici e favorire un’occupazione agricola, in particolare di donne e giovani, sempre più interessati al metodo biologico”.

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Trasformazione digitale: occorre accelerare l’evoluzione delle Pmi

Nel percorso verso il recupero della competitività per le Pmi italiane l’evoluzione digitale rappresenta una grande opportunità per crescere o tornare a crescere.
Se la pandemia ha contribuito a imprimere un’accelerazione nell’adozione della tecnologia da parte di aziende e professionisti, è fondamentale quindi aiutare le Pmi a sviluppare competenze necessarie, evolvere i propri processi e capire come trarre il massimo beneficio dalle nuove tecnologie. È quanto emerge dall’Osservatorio PMI di American Express, in collaborazione con BVA Doxa, che evidenzia come negli ultimi due anni la maggior parte delle Pmi (66%) dichiari di avere subito perdite, pari addirittura a un quarto del business.

Smart working ed e-commerce aiutano le imprese
Durante la pandemia, aziende e professionisti hanno continuato a essere produttivi soprattutto grazie allo smart working. Il 48% delle Pmi è ricorsa a questa modalità proprio in relazione all’epidemia: solo il 6% del campione aveva già programmato di implementare il lavoro agile. Il 31% delle aziende ha rivisto anche i processi interni finalizzati alla digital transformation, e quanto all’utilizzo dell’e-commerce, nonostante il 48% dichiari di svolgere attività di export e il 19% è intenzionato a farlo in futuro, risulta contenuto. Di fatto il 17% delle aziende fa ricorso al commercio elettronico e 2 aziende su 10 sono interessate a implementare il commercio online. Un dato raddoppiato per le aziende operanti nel commercio.

Investimenti tecnologici: per il 60% meno di 10.000 euro l’anno
Per accelerare la digital transformation è fondamentale incrementare gli investimenti dedicati alla tecnologia. Secondo quanto dichiarato dalle imprese, il 60% alloca meno di 10.000 euro all’anno per le dotazioni digitali, il 30% da 10.000 a 20.000, e solo l’8% oltre 30.000 euro. Gran parte di questi investimenti in tecnologia vengono però dedicati alla gestione digitalizzata dei documenti (70%) e ai social media (62%), considerati anche gli strumenti digitali più utili (64%).
Gli investimenti vengono destinati poi all’e-Government e alle interazioni online con le PA (51%), alla cybersecurity (50% e alle tecnologie cloud (40%).

La comunicazione digitale è “social”
Il 98% delle Pmi ha almeno un canale di comunicazione digitale. In particolare, il 96% un sito o un’app aziendale, e il 68% un profilo social, che però vengono utilizzati prevalentemente per far conoscere il proprio brand e i propri servizi e non per aumentare il business. Probabilmente è per questo che il canale social più utilizzato dalle Pmi sia Facebook (91%), seguito da Instagram (36%), Linkedin (28%), e YouTube (4%). Permane però ancora un 11% di imprese prive di un sito Internet. Quasi un’azienda su due (44%) ha invece fatto investimenti in campagne digital, e per il 36% si tratta di un’esperienza degli ultimi 2 anni, mentre un ulteriore 13% è interessato a fare comunicazione digital.

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