I papà italiani tra preoccupazioni, aspirazioni e cambiamento del proprio ruolo

L’ultima edizione dell’Osservatorio Eumetra Parents (and Grandparents) offre una fotografia dei papà italiani oggi, tra preoccupazioni, aspirazioni e cambiamento del proprio ruolo all’interno della famiglia moderna.
Anzitutto, la principale fonte di preoccupazione per i padri italiani è il tema economico, con un occhio particolare al rialzo dei prezzi (56%) e all’andamento dell’economia italiana (41%), seguiti dal cambiamento climatico (39%). 

E sebbene il 61% dei padri indichi una stabilità delle entrate, il 51% riferisce una diminuzione dei risparmi della famiglia. Inoltre, il 77% dei papà è preoccupato per il futuro, con un picco di ansia (85%) tra coloro che hanno figli tra 0 e 3 anni di età.

Un ruolo in mutamento all’interno della famiglia

“Il nostro Osservatorio – sottolinea Matteo Lucchi, ceo Eumetra – mette in luce un chiaro cambiamento all’interno delle dinamiche famigliari. I papà mostrano un maggior desiderio di protagonismo, anche nelle scelte o attività di cura quotidiana dei figli”.

Sebbene l’81% dei papà consideri il lavoro come chiave per la realizzazione personale, lo studio mostra come una percentuale non altrettanto elevata ritenga il proprio ruolo nella famiglia già sufficiente a questo scopo.
Il 91% pone i figli al primo posto, l’82% si sente realizzato come genitore, ma il 61% si sente sotto pressione o stressato. Nonostante ciò, quasi la metà dei papà si assegnerebbe un voto eccellente come genitore (tra 8 e 10), con una media complessiva di 7,4. 

Con i figli non si annoiano, ma vogliono regole rigorose

E ancora: l’82% afferma di non annoiarsi mai con i propri figli e il 74% impone regole rigorose. Inoltre, la questione di una maggiore conciliazione tra lavoro e genitorialità è sentita anche tra i papà, con il 39% che richiede maggiori supporti familiari e il 31% che riconosce la necessità di compromessi.

Come incentivo a un maggiore sviluppo della genitorialità tra le giovani generazioni, i papà mettono al primo posto un lavoro stabile e sicuro (24%), seguito da uno stipendio adeguato (22%), con solo il 16% che considera cruciale il sostegno economico dello Stato (tuttavia, il 52% lo giudica sufficiente).

Cosa significa essere genitori oggi?

Sulle questioni di genere, il 61% sostiene che sia giusto acquistare oggetti ‘appropriati’ per bambine e bambini, mentre l’uso di smartphone e tablet come supporto nel gestire i figli è una realtà per il 53% dei papà.
La gestione quotidiana della casa vede un impegno equo del 51% dei padri, con un 69% che condivide decisioni e responsabilità con la madre.

Per quanto riguarda gli acquisti, c’è una divisione dei compiti: alimentazione (66%), puericultura pesante (75%), giochi (78%), materiale scolastico (66%), farmaci (72%) e vacanze (75%).
Inoltre, l’81% dei papà parla o parlerà di sostenibilità con i figli, l’83% di inclusione e diversità e il 31% effettua acquisti tenendo conto della sostenibilità del prodotto.

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L’assenza di comunità, uno dei mali dell’epoca

Secondo una ricerca del Censis, dal titolo ‘La tentazione del tralasciare’, realizzata a cinquant’anni dal convegno diocesano su ‘I mali di Roma’ del febbraio ’74, oggi il male di cui occuparsi è l’assenza del senso di comunità, ovvero, il soggettivismo indifferente.
In un mondo in cui alla sovrabbondanza dei mezzi corrisponde un deficit di fini, è diffusa una forte dose di indifferenza, per cui vince l’attitudine al ‘tralasciare’, una sorta di peccato di omissione.

Inoltre, oggi ci troviamo di fronte a un paradosso: siamo una società fortemente soggettivista, ma con soggetti deboli, molto individualista, ma con una scarsa forza di affermazione individuale, parecchio egoista, ma fatta di ego fragili. 

Lo scarso senso di appartenenza dei giovani

Se al 66% degli italiani non piace la società in cui vivono, e la percentuale sale drammaticamente al 72% tra i giovani, solo il 15% sente di appartenere pienamente a una comunità al di là della propria famiglia.

Più della metà dei giovani non si sente parte di una comunità e di questi 3 su 4 non ne sentono neanche la mancanza. La percentuale di chi si riconosce pienamente in una comunità sale solo al 37% anche tra i cattolici praticanti.
Lo scarso senso di appartenenza a una comunità si sposa con la sensazione di contare poco nell’ambiente in cui si vive. Questo vale per il 48% degli italiani (60% giovani).

Alla ricerca di un senso profondo della vita: la dimensione spirituale

Complessivamente, però, per il 72% degli italiani la sfera spirituale è importante. Il 56% si sente parte del cammino dell’umanità, il 55% si interroga sul senso profondo della vita, il 54% avverte la mancanza di qualcosa che i beni materiali non possono dare.

Tuttavia, il 53% ritiene che il cammino interiore sia una esperienza soggettiva, da vivere individualmente, non in modo condiviso. E solo per il 19% una vita degna di essere vissuta è quella in cui si fa del bene agli altri.
Resta però un 28% di persone che coltivano la loro spiritualità partecipando ai riti religiosi secondo la propria confessione.

Poco altruismo, molti rammarichi

Solo il 18% degli italiani ritiene di non avere nulla da rimproverarsi. Il 64% pensa invece di non avere messo a frutto adeguatamente i propri talenti (percentuale che sale al 70% nell’età di mezzo, tra i 45 e i 65 anni). Appena il 18% si rammarica di non avere fatto di più per gli altri.

Insomma, la parabola dei talenti fa riflettere più della parabola del buon samaritano. Poi però il 64% prova sensi di colpa, soprattutto a causa del proprio egoismo.
“Dietro ogni momento di indifferenza tralasciante c’è una dinamica psichica che rinvia agli atteggiamenti soggettivi qui richiamati – commenta Giuseppe De Rita, presidente del Censis -. Riprendere oggi il filo del ’74 significa approfondire non più i mali di Roma, ma il cruciale male del soggettivismo indifferente”.

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Mercato immobiliare a Milano, Monza Brianza, Lodi: quotazioni e tendenze

Le rilevazioni sui prezzi immobiliari indicano un rallentamento delle transazioni nelle zone di Milano, Monza Brianza e Lodi nel secondo semestre del 2023. Il calo delle compravendite è da attribuirsi all’incremento dei tassi e alle maggiori difficoltà nell’ottenere mutui e finanziamenti. E, in un mercato più cauto dove la domanda e l’offerta ancora non convergono pienamente, anche i tempi di compravendita si allungano. Lo scenario emerge dall’ultima analisi condotta dalla Commissione Immobili della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi.

Prezzi, trend più positivo a Monza e Lodi

I dati sull’andamento dei prezzi, raccolti dalla Camera di Commercio e elaborati in collaborazione con l’Ufficio Studi di Confcommercio Milano Lodi Monza e Brianza, mostrano un aumento del 1% a Milano nel settore residenziale rispetto al primo semestre 2023, con incrementi più significativi del 2% a Lodi e Monza. Nel dettaglio, a Milano gli appartamenti nuovi nella zona sud registrano una modesta crescita del 2%, mentre a Monza il quadrante est brilla con un aumento del 4%. Per quanto riguarda Lodi è la periferia a segnare un incremento del 4%.

L’andamento delle quotazioni

A Milano, le quotazioni rimangono stabili con incrementi contenuti sia nel settore residenziale che non residenziale, con prezzi medi di 6.400 €/mq per gli appartamenti nuovi. La crescita dei prezzi è uniforme in tutte le zone, oscillando tra l’1% e il 2%. Nel centro, il valore massimo medio raggiunge 11.671 €/mq (+1%), mentre nella zona sud è di 4.712 €/mq (+2%). A Monza città, il prezzo medio per il nuovo si attesta a 3.228 €/mq, con una crescita del 4% nella zona est (2.563 €/mq) e incrementi più modesti nelle altre aree, dove i prezzi sono più elevati (5.563 €/mq nel centro storico). Per quanto riguarda Lodi, si osserva una crescita del 2% nel prezzo medio di acquisto del nuovo (2.375 €/mq), con un aumento significativo del 4% in periferia a 2.164 €/mq e prezzi medi di 3.075 €/mq nel centro città.

Un “momento di riflessione”

Il vicepresidente della Commissione Immobili, Marco Zanardi, commenta che il mercato sta attraversando un periodo di riflessione. In particolare, si presenta un divario tra i desiderata dei proprietari –  che si aspettano ancora i valori del 2022 – e quelli degli acquirenti, che invece puntano al ribasso in base alle stime del 2024.  La notizia positiva, però, è che ci si attende un recupero nel numero di transazioni e degli investimenti grazie alla prevista diminuzione dei tassi di interesse nella seconda metà del 2024. In questo contesto, in attesa di tempi migliori, si nota anche una tendenza verso la locazione da parte di coloro che non raggiungono gli standard richiesti dalle banche.

Aumenta l’appeal del nuovo 

Cresce poi l’interesse degli acquirenti per nuove costruzioni con standard energetici elevati, così come l’appeal di soluzioni dalle dimensioni più ampie e dotate di spazi per lo smart working.  Si nota anche l’emergere di un mercato per la “seconda prima casa”: aumentano gli acquisti al di fuori della città in località solitamente dedicate alla villeggiatura, ma da adibire a residenza per periodi più lunghi. 

Monza e Lodi, favorite da costi minori e miglior qualità della vita

Le città di Monza e Lodi piacciono non solo perchè presentano costi più contenuti rispetto a Milano, ma perchè possono offrire una migliore qualità di vita. In particolare, cresce l’interesse verso le zone ben collegate e servite. Nel Lodigiano, la dinamica è più intensa nella parte nord e nel capoluogo, ben collegati a Milano, mentre la situazione è più complessa nella Bassa. Per quanto riguarda il settore degli uffici, sia in compravendita sia in locazione, si osserva una ripresa dovuta al ritorno delle persone negli ambienti di lavoro, ma con una riduzione delle superfici richieste a causa della consolidata pratica del lavoro ibrido.

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Stereotipi di genere nel mondo scientifico: c’è ancora molta strada da fare

Nonostante i significativi progressi degli ultimi anni, le donne sono ancora sottorappresentate in molte discipline scientifiche, in particolare nel settore STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).
La Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza, celebrata ogni anno l’11 febbraio, è promossa dall’ONU con l’obiettivo di riconoscere e promuovere la partecipazione femminile nelle comunità scientifiche e tecnologiche, sfidando gli stereotipi di genere e promuovendo l’uguaglianza di genere.

Il team di Ipsos Public Affairs ha indagato le opinioni degli italiani, rivelando le percezioni sulla presenza femminile nelle discipline scientifiche e le possibili soluzioni per eliminare la disuguaglianza di genere nel mondo scientifico. 

Il punto di vista degli italiani

L’opinione pubblica sostiene ampiamente che non esistono differenze in termini di predisposizione e attitudine tra ragazzi e ragazze. Più di due italiani su tre non credono che i ragazzi siano più adatti alle discipline scientifiche, e viceversa, che le ragazze siano più predisposte per le discipline umanistiche, formative o relative alla cura.

Nonostante ciò, una ‘divisione delle competenze e capacità’ persiste in una minoranza ristretta, circa il 16%. Un antico stereotipo che tende a prevalere non tanto tra gli uomini (20% contro il 13% delle donne), ma sorprendentemente tra i più giovani: il 25% dei Millennials e addirittura il 29% degli Zoomers considerano valida questa distinzione.

La presenza femminile nelle discipline scientifiche 

Esiste effettivamente un divario: secondo i dati Istat del 2022, più di un uomo laureato su tre ha scelto il campo STEM, mentre solo una donna laureata su sei ha fatto la stessa scelta. Questa è una differenza significativa, che viene ignorata o riconosciuta, ma sottostimata da una parte considerevole della popolazione.

La tendenza è più evidente tra gli uomini e i giovani rispetto alle donne e alle persone di età più avanzata.
Nonostante il fenomeno possa essere in parte sottostimato, le sue cause sono chiare. Tre italiani su cinque ritengono che siano gli stereotipi di genere a scoraggiare le donne dal perseguire una carriera nel campo scientifico. Una visione particolarmente diffusa tra le donne (due su tre) e i Boomers (72%).

Come eliminare la disuguaglianza di genere?

Le cosiddette ‘quote rosa’, ovvero riservare una certa percentuale di posti alle donne nelle istituzioni scientifiche e di ricerca, sono una soluzione molto sostenuta dal 70% degli intervistati. Tuttavia, il supporto diminuisce tra i laureati, gli studenti e il ‘ceto dirigente’, dove meno di un terzo è d’accordo con questa misura.

Molte altre proposte sembrano essere più apprezzate, come il miglioramento dell’equilibrio tra vita privata e lavoro, l’investimento in educazione di base attraverso programmi scolastici e campagne educative sui media tradizionali e social. E l’aumento della visibilità delle donne già presenti in posizioni di leadership nella comunità scientifica.

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Burnout, quanto costa alle aziende?

Il burnout, o stress cronico sul lavoro, ha un impatto importante anche sulla “salute” delle aziende, e non solo quella delle persone. E’ un fenomeno che, infatti, costa in termini economici perchè si paga in mancata produttività. La situazione si è fatta negli anni sempre più grave, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficialmente riconosciuto il burnout come una condizione medica associata allo stress cronico sul lavoro non adeguatamente gestito, includendolo nella classificazione internazionale delle malattie.

Questa decisione sottolinea la crescente preoccupazione per l’effetto negativo dello stress lavorativo sulla salute mentale dei dipendenti. A livello globale, i dati indicano che circa il 20% dei lavoratori ne sperimenta i sintomi.

Il fenomeno nel mondo

Un sondaggio condotto dal McKinsey Health Institute su 30.000 dipendenti in 30 paesi rivela che il 22% dei lavoratori a livello globale sperimenta sintomi di burnout. Esistono, tuttavia, notevoli differenze tra le nazioni: l’India presenta il tasso più alto (59%), mentre il Camerun il più basso (9%). L’Italia si colloca nella parte bassa della classifica con il 16% dei sintomi di burnout, nonostante una percentuale elevata di esaurimento delle forze (43%).

L’impatto economico 

Le frequenti dimissioni del personale, in particolare quelle dei talenti più giovani, rappresentano una sfida significativa per i talent manager. Si tratta di un ostacolo, difficile da superare, per l’introduzione di nuove competenze e la crescita aziendale. La diminuzione della soddisfazione lavorativa potrebbe portare a una perdita economica globale stimata in circa 8,8 trilioni di dollari in termini di produttività.

Più frequente nelle piccole aziende 

Il fenomeno colpisce in modo più significativo i dipendenti delle aziende più piccole, coloro che non ricoprono posizioni manageriali e i lavoratori più giovani. In particolare, emerge un dato allarmante: l’80% dei dipendenti appartenenti alle generazioni Z e Millennial sarebbe disposto a lasciare il lavoro a causa di una cultura aziendale tossica.

L’importanza dell’ascolto e del monitoraggio del clima aziendale

Francesca Verderio, training & development practice leader di Zeta Service, sottolinea l’urgenza di prestare attenzione ai processi di ascolto dei dipendenti e al monitoraggio costante del clima aziendale. Conflitti interpersonali, mancanza di chiarezza sulle responsabilità e la pressione legata ai tempi e al carico di lavoro possono portare a stress e scarsa produttività, creando le condizioni per il burnout.

Al contrario, un ambiente di lavoro positivo consente ai dipendenti di sperimentare un maggiore benessere e di essere più innovativi e performanti. In conclusione, la gestione attenta dello stress cronico sul lavoro, il riconoscimento dei sintomi di burnout e il mantenimento di un clima aziendale positivo emergono come fattori chiave per affrontare le sfide del mondo del lavoro moderno. 

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Gli italiani vogliono etichette con informazioni ambientali su tutti i prodotti

Emerge da un’indagine realizzata da Altroconsumo, e promossa dal Beuc, l’organizzazione dei consumatori europei di cui è parte: il 92% degli italiani cerca le informazioni ambientali sulle etichette dei prodotti, e il 35% di loro lo fa spesso o molto spesso. L’84%, inoltre, gradirebbe trovare le informazioni green in etichetta su tutti i prodotti. 

L’indagine di Altroconsumo, basata su interviste a 1.028 cittadini italiani sul tema del ‘greenwashing’ di loghi e slogan, conferma inoltre come l’86% degli intervistati dichiari di essere influenzato nei propri acquisti dalle dichiarazioni che trova in etichetta
In particolare, il 58% afferma di esserlo in parte e il 28% molto.
Insomma, gli italiani diventano sempre più sostenibili nelle scelte di acquisto, ma vorrebbero anche essere informati dalle aziende produttrici sui prodotti che mettono nel carrello.

Occhio alle autocertificazioni dei produttori

L’84% pensa che tutti i prodotti dovrebbero indicare qual è il loro impatto ambientale, e il 59% preferisce acquistare un prodotto con un’etichetta ambientale rispetto a uno senza. 

“I consumatori non si fidano molto, però, dei loghi che trovano in etichetta, anche perché non sempre sanno cosa significano e se sono attendibili – osserva Altroconsumo -. Spesso si tratta infatti di certificazioni volontarie, ma a volte sono semplici autodichiarazioni non controllate da enti terzi”.

Il 42% degli intervistati ritiene infatti che le dichiarazioni ambientali non riflettano il reale impatto dei prodotti, mentre il 23% dichiara di aver avuto l’impressione di greenwashing nel leggerle.

Non è compito del consumatore verificare le informazioni ingannevoli

In generale, dall’indagine emerge la necessità di maggiore chiarezza e semplificazione, come dichiara il 49% degli intervistati. E il 48% smetterebbe di comprare da un brand se si rendesse conto che questo mostra informazioni false o non verificate sulla sostenibilità, mentre il 31% si sentirebbe manipolato.

“I consumatori domandano informazioni ambientali affidabili per passare a uno stile di vita più sostenibile, ma non deve essere un loro compito distinguere le dichiarazioni affidabili da quelle ingannevoli – dichiara Federico Cavallo, responsabile Relazioni Esterne di Altroconsumo -. Le nuove regole in preparazione con la direttiva ‘green claim’ sono un passo in avanti importante e decisamente benvenuto”.

La pre-approvazione dei loghi ambientali della UE

“Auspichiamo, quindi, che la UE adotti presto la Direttiva sulle indicazioni verdi, introducendo una solida pre-approvazione dei loghi ambientali che lasci al contempo spazio sufficiente per l’esistenza di etichette indipendenti affidabili – aggiunge Cavallo -: i programmi di test e le iniziative di valutazione delle performance complessive dei prodotti, incluse quelle ambientali, promosse dalle associazioni di consumatori hanno permesso al mercato di evolvere positivamente, garantendo più competitività tra i produttori e una migliore scelta informata dei consumatori. Sono strumenti la cui efficacia e disponibilità va preservata e continuata nel tempo”.

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Maltempo e calamità naturali: case danneggiate per 5 milioni di italiani

Nel 2023 il fenomeno dannoso più comune è stata la grandine (49%), seguito dal vento, indicato dal 39,7% di chi ha subito danni diretti o da cose trasportate. Un altro elemento che ha creato gravi problemi è stata l’acqua. Il 23,3% ha dichiarato di aver subito danni a seguito di un’alluvione, mentre il 18,1% per via di un allagamento.
Chiudono la ‘graduatoria’ i danni da terremoto, indicati dall’8,6%, e quelli da gelo (2,6%).

È quanto emerge da un’indagine commissionata da Facile.it a mUp Research e Norstat: nell’ultimo anno circa 5 milioni di italiani hanno subito danni alla propria abitazione causati da maltempo o calamità naturali. Ma di questi, solo 1 su 3 era in possesso di una polizza assicurativa a tutela dell’immobile.

Circa 1,8 milioni di italiani danneggiati erano senza copertura assicurativa

In Italia il 78% degli immobili è costruito in zone a rischio idrogeologico e l’aumento dei fenomeni atmosferici di forte intensità ha ampliato il numero di case potenzialmente esposte ai danni da maltempo. Nonostante questo, gli italiani si confermano un popolo che si assicura poco.

Al momento del sinistro poco più di 1 danneggiato su 3 era infatti in possesso di una copertura assicurativa sottoscritta per tutelarsi dagli eventi, mentre il 27% ha potuto godere unicamente della polizza condominiale.
Inoltre, quasi 4 danneggiati su 10, circa 1,8 milioni di italiani, non hanno potuto contare su alcuna copertura.

Prezzi delle polizze a Milano, Modena, Bari

Unica nota positiva: 8 intervistati su 10, a seguito del danno, hanno deciso di assicurare la propria abitazione. Il 28% ha già sottoscritto una polizza, mentre il 53% è intenzionato a stipularla.
Per analizzare i costi delle polizze casa Facile.it ha preso in esame un appartamento da 100 metri quadri del valore di 200.000 euro, ubicato a Milano, Modena e Bari.

I prezzi per una polizza assicurativa a copertura dei danni al fabbricato causati da maltempo partono da 54 euro annui a Modena, per salire a 67 euro a Milano e 94 euro a Bari.
Se si vuole aggiungere anche la copertura dei danni al contenuto, si trovano polizze con prezzo di partenza pari a 94 euro su tutte e 3 le città.

Terremoto, alluvione e coperture aggiuntive

Aggiungendo la copertura per il terremoto si sale a 110 euro annui (Milano), 162 euro (Bari) e 214 euro (Modena).
La copertura terremoti, però, copre solo i danni subiti dal fabbricato, non quelli al contenuto, ed esistono diversi livelli di copertura che offrono rimborsi più o meno alti in caso di evento sismico, ma il prezzo varia notevolmente in base a questi parametri.
Aggiungendo anche la copertura dell’evento ‘alluvione’ il costo salirebbe invece a 312 euro annui a Milano, 624 a Bari, e 636 a Modena.

Si tratta, nel caso della copertura dai danni di un’alluvione, di polizze non molto diffuse, e spesso ‘su misura’, pertanto il premio potrebbe variare sensibilmente a seconda della compagnia assicurativa.

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Successo in ambito professionale: come raggiungerlo?

Come si ottiene successo nell’ambito professionale? Basta modificare le abitudini negative e smettere di avere comportamenti poco efficaci.
Il successo spesso è questione di abitudini. È quindi importante sostituire comportamenti ‘sbagliati’ con consuetudini salutari che possono ridefinire il nostro equilibrio in senso migliorativo. In questo modo, sarà più semplice riuscire a raggiungere i nostri obiettivi.

Ma come agire concretamente? Alcuni consigli utili arrivano da Roberto Castaldo, esperto di performance management, founder di 4 Man consulting: “Uno schema efficiente per cambiare le nostre abitudini è la semplificazione così come teorizzato in neuroscienza – spiega l’esperto all’Adnkronos/Labitalia -. In particolare, è possibile modificare il nostro modo abituale di agire grazie alla teoria dei 21 minuti”.

Cos’è la teoria dei 21 minuti?

La teoria dei 21 minuti è un metodo utilizzato da imprenditori, manager e professionisti, ed è finalizzato all’aumento della produttività.

“Concentrandoci su una singola attività per 21 minuti e ripetendola per 21 giorni consecutivi, ostacolo davanti al quale la nostra forza di volontà spesso si arrende, possiamo ottenere risultati importanti, riuscendo a creare nuove e positive abitudini – avverte Roberto Castaldo -. Ogni volta che eseguiamo un’azione, infatti, nel nostro cervello avviene qualcosa di simile all’apertura di un canale. Più eseguiamo questa azione, più apriamo questo canale, facendo spazio a una nuova consuetudine. Lo schema efficiente segue il sistema Idra, e si basa sulla definizione di obiettivi specifici generando un incremento delle performance del 50%. Il primo passo – puntualizza Castaldo – è pensare alla nuova abitudine che si vuole sviluppare”.

Un metodo efficace utilizzato dalle aziende

Il secondo step, è definire nel dettaglio il progetto seguendo un percorso logico fondato su uno schema sequenziale e basato su idee, descrizione risultati, azioni. Per elaborare un’idea, le domande sono: chi sei? Che ruolo hai? Quali sono le risorse a tua disposizione? Poi, descrivere l’obiettivo usando al massimo 250 parole, scrivere cosa si vuole ottenere, ed elaborare un piano di azioni utili al raggiungimento dei risultati che si vogliono ottenere.

“Questa metodologia – aggiunge l’esperto – oggi è utilizzata da molte Pmi in diversi ambiti. Nella governance utilizzando il sistema 21 minuti imprenditori e manager riescono a dedicare periodicamente tempo ad attività di pianificazione strategica, che spesso viene procrastinata e rientra in uno dei motivi di aumento del costo della non qualità”.

Diversi ambiti di applicazione

“Nell’onboarding delle nuove risorse e change management questa metodologia se usata nell’inserimento di nuove risorse in azienda riduce del 62% il tempo di inserimento e il turnover in azienda del 34% – continua ancora Castaldo -. Nelle attività di change management il sistema consente di dedicare tempo alla pianificazione e allo sviluppo, rimanendo altamente produttivi. Molto spesso le attività di formazione e training vengono rimandate a causa di una forte operatività. Questa metodologia consente di investire al meglio in questo fondamentale asset senza intaccare la produttività dello staff”.

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Anche il packaging dei prodotti alimentari deve essere sostenibile

Le aziende del settore agroalimentare possono e devono intraprendere azioni di sostenibilità per la salvaguardia della salute e dell’ambiente. E in cima a queste c’è la riduzione dei materiali impiegati per il confezionamento dei prodotti, oppure la sostituzione dei materiali plastici presenti negli imballaggi. Insomma, è dal packaging che le aziende devono iniziare per essere sostenibili.
La quarta edizione dell’Osservatorio Packaging del Largo Consumo, realizzato da Nomisma, rileva l’impegno da parte delle aziende proprio per il recupero e il riuso degli imballaggi, o il ricorso a materiali in grado di garantire un minor impatto ambientale La filiera agroalimentare non sfugge dallo scacchiere delle responsabilità della crisi climatica, tanto da essere considerata dagli italiani il quarto settore maggiormente responsabile del climate change, dietro a industria energetica, trasporto aereo e trasporto su gomma.

Ridurre i rifiuti generati dall’imballaggio dei cibi

Per ridurre i rifiuti generati dal packaging dei prodotti, e aumentare la quantità di confezionamento riciclato, le caratteristiche più ricercate dagli italiani sono assenza di overpackaging (58%), totale riciclabilità (56%), ridotte quantità di plastica (47%), basse emissioni di CO2 (46%) e utilizzo di materiale riciclato (45%). Per i manager coinvolti dalla ricerca, invece, le caratteristiche di sostenibilità del packaging devono essere oggettive e misurabili, adottate solo dopo studi e valutazioni scientifiche dell’effettivo impatto dell’imballaggio sull’ambiente. In particolare, i criteri principali in base ai quali l’impresa valuta la sostenibilità del packaging sono la riduzione delle emissioni di CO2, la riciclabilità dei materiali e l’impiego di materiali di riciclo.

Non basta posizionare il brand

La valorizzazione delle azioni svolte dalle aziende in fatto di tutela dell’ambiente non riguarda solo il posizionamento del brand, ma anche l’informazione. In pratica, “trasmettere ai consumatori le conoscenze utili a valutare in che modo la scelta di acquisto di un prodotto in alternativa a un altro possa generare un diverso impatto sull’ambiente”, spiega Valentina Quaglietti, Head of Customer Observatories di Nomisma.
Le informazioni circa lo smaltimento e il riciclo, la riduzione del materiale impiegato e la sostenibilità delle fonti energetiche e delle materie prime usate sono quindi i principali argomenti da comunicare al consumatore. Principalmente, tramite le etichette e i canali social dell’azienda.

Agenda ONU 2030: servono diversi modelli di produzione, consumo e riciclo

“Per le sue caratteristiche tecniche il packaging può rappresentare un valido supporto al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030 – aggiunge Quaglietti -. D’altro canto gli obiettivi dell’Agenda 2030 rendono necessario un approccio sostenibile dei modelli di produzione, consumo e riciclo del packaging. Un orientamento allo sviluppo sostenibile economico, ambientale e sociale che coinvolge mondo produttivo, società civile, istituzioni nazionali e sovranazionali”.
In particolare, l’Osservatorio pone l’attenzione sugli obiettivi che interessano, in maniera diretta o indiretta, Sicurezza alimentare (Sustainable Development Goal 2), Modelli sostenibili di produzione e consumo (Goal 12), Preservare le risorse marine (Goal 14) e Contrasto alla desertificazione (Goal 15).

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Google annuncia tre prodotti contro il cambiamento climatico basati sull’AI

Se da una parte l’Intelligenza artificiale fa paura dall’altra offre opportunità inimmaginabili solo qualche tempo fa, anche in ambito Esg. Ma l’AI può essere un elemento decisivo anche nella lotta al surriscaldamento globale? Secondo Google sì, tanto che annuncia tre prodotti che sfrutteranno Intelligenza artificiale e machine learning per affrontare le sfide ambientali. E aiutare aziende e cittadini a ridurre il proprio impatto ambientale. Si tratta di tre software che combinano AI, machine learning, immagini aeree e dati ambientali per fornire informazioni aggiornate sul potenziale solare, la qualità dell’aria e i livelli di polline. Tutti e tre, riporta Adnkronos, rientrano nelle Application programming interface, le interfacce di programmazione delle applicazioni.

Solar Api 

Il primo, Solar Api, utilizza le immagini aeree di Google per comprendere la forma degli edifici e la posizione degli alberi e le combina al percorso del sole, ai modelli metereologici consolidati e al costo dell’energia in una zona determinata per suggerire dove installare pannelli solari. Questo prodotto nasce dall’iniziativa Project Sunroof lanciata nel 2015, e farebbe risparmiare molto tempo e denaro alle imprese che avrebbero così meno ostacoli nel virare sull’energia solare. Nonostante Solar Api sia ancora in fase di lancio, ha già le informazioni di oltre 40 Paesi, tra cui l’Italia, e oltre 320 milioni di edifici.

Air Quality Api

Il secondo software di Google è Air Quality Api, che fornisce agli sviluppatori analisi sulla qualità dell’aria mostrando un indice su scala da 1 a 100. Un’idea interessante in questo periodo storico, dove i consumatori non si accontentano più delle dichiarazioni fatte dalle imprese che si autodefiniscono ‘sostenibili’, e cercano sempre più informazioni affidabili che provino i risultati ottenuti dalle aziende in ambito Esg. Air Quality Api potrà essere utilizzato in settori come sanità, automotive e trasporti per fornire agli utenti informazioni tempestive sulla qualità dell’aria. Al suo lancio il prodotto comprenderà informazioni per oltre 100 Paesi, tra cui anche l’Italia.

Pollen Api

Il terzo prodotto, Pollen Api, è dedicato al problema delle allergie. L’aumento delle temperature globali stimola la crescita delle piante in molte aree del mondo, influenzando la produzione dei pollini. Anche l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera alimenta la fotosintesi, quindi la crescita delle piante, e ancora una volta, l’effetto è una maggiore produzione di polline. Pertanto, Pollen Api offre agli sviluppatori una previsione giornaliera dei pollini, una mappa del calore previsto per le successive 96 ore, dettagli sugli allergeni presenti nell’aria e consigli su come evitarli. Questo prodotto tiene conto di 15 diverse famiglie e specie di piante, tra cui le graminacee, l’ontano, il frassino, la betulla, la cotonosa, l’olmo, il nocciolo, la quercia, l’ulivo e il pino. Pollen Api sarà lanciato nei prossimi mesi in 65 Paesi, inclusa l’Italia.

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