Il commercio agroalimentare nella Ue a +6,1% nei primi nove mesi 2021

Gli ultimi dati sul commercio agroalimentare della Ue indicano che nei prmi nove mesi del 2021 le esportazioni sono aumentate dell’8%, attestandosi a 145,2 miliardi di euro, mentre l’aumento registrato dalle importazioni è del 3,5% rispetto ai primi 9 mesi del 2020, una crescita che ha permesso di raggiungere un fatturato complessivo pari a 94,2 miliardi.
Tra le esportazioni e le importazioni nel periodo da gennaio a settembre 2021 il valore totale del commercio agroalimentare della Ue ammonta quindi a 239,5 miliardi di euro, per un aumento del 6,1% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente.

L’export verso gli Stati Uniti sale del +15%

Questi dati riflettono un’eccedenza complessiva del commercio agroalimentare equivalente a 51 miliardi di euro per i primi nove mesi del 2021, pari a un aumento del 17% rispetto allo stesso periodo del 2020. La crescita maggiore delle esportazioni si registra verso gli Stati Uniti, per un aumento del 15%, principalmente grazie alle esportazioni di prodotti quali vino, acquaviti e liquori, ma anche cioccolato e dolciumi. In aumento anche le esportazioni verso la Corea del Sud, in virtù delle eccellenti performance del vino, della carne suina, del frumento e del frumento segalato, e le esportazioni verso la Svizzera.

Import: l’aumento maggiore è per i prodotti provenienti dal Brasile

Quanto alle esportazioni agroalimentari verso il Regno Unito nel 2021 hanno per la prima volta superato l’importo del corrispondente periodo dell’anno precedente, aumentando di 166 milioni di euro. Si segnalano al contrario riduzioni significative del valore delle esportazioni verso l’Arabia Saudita, Hong Kong e Kuwait.
Per quanto riguarda le importazioni agroalimentari, l’aumento maggiore è stato registrato per i prodotti provenienti dal Brasile, le cui importazioni sono cresciute di 1,4 miliardi, con un aumento del 16 % rispetto allo stesso periodo del 2020. In crescita anche le importazioni da Indonesia, Argentina, Australia e dall’India.

I più esportati: vino, acquaviti, liquori, olii di colza girasole, cioccolato e pasticceria

Per contro, diminuzioni considerevoli sono state rilevate nelle importazioni da diversi paesi, tra le quali la più significativa è la diminuzione di 2,9 miliardi, pari al 27%, delle importazioni provenienti dal Regno Unito, seguita da quelle provenienti da Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda e Moldavia.
Per quanto concerne le categorie di prodotti, riferisce Italpress, il periodo gennaio-settembre 2021 ha registrato un forte aumento dei valori di esportazione di vino, acquaviti e liquori. Altri significativi aumenti del valore delle esportazioni sono stati osservati per gli olii di colza e di girasole, il cioccolato e la pasticceria. Sono viceversa diminuite considerevolmente le esportazioni di alimenti per bambini e di frumento.

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Crescono fatturato e posti di lavoro delle imprese italiane

Sace, la società del gruppo italiano a partecipazione pubblica Cassa Depositi e Prestiti, fa crescere il fatturato delle imprese italiane, e sostiene l’aumento anche dei posti di lavoro. Nel 2019 il contributo di Sace sulle imprese italiane ha infatti generato 13,8 miliardi di euro di fatturato addizionale, e oltre 40 mila posti di lavoro. Inoltre, le aziende che hanno beneficiato degli strumenti di Sace, di Simest e della controllata Sace Bt, hanno generato ulteriori 26 miliardi lungo le rispettive filiere produttive. La conferma arriva dai risultati emersi dall’analisi d’impatto economico e sociale realizzata dall’ufficio studi di Sace insieme a Prometeia. Lo studio è stato condotto su oltre 23mila operazioni, che hanno coinvolto 8.360 imprese attive in 162 Paesi, e mobilitato oltre 163 miliardi di risorse tra il 2005 e il 2019.

Un beneficio anche per l’export

Dall’analisi di Sace emerge che il numero di operazioni è passato dalle circa mille del 2008 alle oltre 2 mila del 2019, mentre il numero di imprese clienti è più che raddoppiato, passando dalle 500 del 2008 alle oltre 1.300 nel 2019, di cui il 75% sono Pmi. E a beneficiarne di più è l’export: secondo l’Istat dal 2010 al 2019 il numero degli esportatori nazionali è aumentato del 3,4%, rispetto al 22,5% registrato tra le imprese clienti di Sace e Simest.  Tra i settori spicca la meccanica strumentale, con oltre il 30% delle imprese, in particolare dei comparti macchine, moda, costruzioni e alimentare. Rilevanti però risultano anche i comparti ad alta intensità tecnologica e dei mezzi di trasporto. Per Sace Bt si evidenziano i settori più legati al consumo, come ad esempio agroalimentare, moda e distribuzione.

In forte crescita i settori del Made in Italy

Negli ultimi due anni si conferma poi anche la forte crescita delle imprese appartenenti ai settori del Made in Italy (agroalimentare e sistema moda).
Per quanto riguarda la distribuzione a livello territoriale è il Nord-Est a guidare la classifica, con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che rappresentano il 58% delle imprese. Al Sud si distinguono Campania, Puglia e Sicilia. Quanto alla destinazione delle strategie di internazionalizzazione, tra il 2015 e il 2019 le principali geografie di riferimento sono state il Brasile, gli Emirati Arabi Uniti e la Russia. Solo nel 2019, anche l’India ha avuto un ruolo in primo piano.

Gli strumenti di Sace, Simest e Sace Bt

Nello specifico, gli strumenti analizzati hanno riguardato l’export credit di Sace (volto a proteggere dal rischio insolvenza e diviso in credito fornitore, credito acquirente e documentario), le garanzie Sace per facilitare l’accesso al credito e migliorare la competitività nelle gare d’appalto internazionali, e gli strumenti di sostegno degli investimenti diretti esteri. Il factoring estero per garantire liquidità alle imprese, con strumenti per la patrimonialità, patrimonializzazione ed export credit sono stati messi in campo da Simest. Invece, per Sace Bt l’analisi ha considerato la polizza globale, che consente alle imprese di assicurare l’intero fatturato dilazionato, e la sviluppo export, dedicata all’attività internazionale della clientela.

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Terziario lombardo, crescono i Servizi ma rallenta il Commercio al dettaglio

Unioncamere Lombardia ha pubblicato i dati congiunturali del terzo trimestre 2021 relativi al terziario lombardo. In particolare, se per i Servizi i dati rilevano un incremento del +5,5% sostenuto dai prezzi, al contrario, il Commercio al dettaglio si ferma al -0,2%. I risultati del terziario lombardo nel terzo trimestre dell’anno evidenziano quindi un quadro complessivo contrastante, anche se gli elementi positivi sembrano prevalere e le aspettative degli imprenditori sono compatibili con un trend di crescita.
“Come Regione rimane l’impegno di mettere in campo tutto il sostegno possibile con misure concrete”, dichiara Guido Guidesi, assessore allo sviluppo economico di Regione Lombardia. Nelle prossime settimane usciranno infatti alcuni bandi, come ‘Nuova Impresa’ e ‘Attività Storiche’, dedicati alle attività più colpite dalla crisi pandemica.

Servizi, un percorso di crescita robusto

Nei servizi il fatturato mostra un incremento elevato su base annua (+15,9%), condizionato dai bassi livelli di attività che avevano caratterizzato il 2020, tuttavia il percorso di crescita è robusto, come conferma la variazione sul trimestre scorso (+5,5%). L’incremento del fatturato è sostenuto anche dall’accelerazione dei prezzi di vendita (+1,8%), particolarmente evidente nel commercio all’ingrosso. Il terzo incremento congiunturale positivo consecutivo permette quindi all’indice Unioncamere Lombardia del fatturato di toccare quota 107, colmando il divario con i valori pre-crisi. Qui, servizi alle imprese e commercio all’ingrosso toccano i massimi storici, mentre alloggio, ristorazione e servizi alle persone non hanno ancora recuperato i livelli del 2019.

Commercio al dettaglio, si spera in una chiusura positiva dell’anno

Nel commercio al dettaglio il fatturato aumenta del +4,2% su base annua, ma la variazione congiunturale evidenzia invece un andamento stagnante (-0,2%). Le indicazioni che si ricavano dal quadro degli altri indicatori sono tuttavia incoraggianti: le giacenze di magazzino sono a livelli minimi e gli ordini ai fornitori sono ancora in espansione. La fiducia degli imprenditori appare però molto elevata, e lascia sperare in una chiusura positiva dell’anno. Il numero indice di Unioncamere Lombardia del fatturato si attesta a quota 88,8, in linea con i valori che avevano caratterizzato il 2019. Minimarket e supermercati proseguono il trend positivo su livelli di attività superiori a quelli di due anni fa, mentre gli esercizi non alimentari, pur in significativo recupero, non hanno ancora chiuso il gap rispetto ai valori pre-crisi.

Sostenere il sistema economico regionale

“Si sta confermando la crescita dei servizi, e anche il quadro del commercio al dettaglio, sebbene ancora un po’ incerto, sembra orientato in senso positivo – commenta Gian Domenico Auricchio, Presidente di Unioncamere Lombardia -. Stiamo monitorando la situazione con attenzione, perché la ripresa del terziario dopo la crisi è adesso un tassello fondamentale per sostenere il sistema economico regionale”.
Anche il settore del commercio, tra quelli che maggiormente ha pagato le chiusure imposte dal Governo, mostra segnali incoraggianti. Secondo Guido Guidesi, “Il grande sacrificio dei commercianti lombardi e il supporto pubblico stanno dando i risultati auspicati”.

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Imprese attive in Lombardia: ai massimi il numero del decennio

Anche nel terzo trimestre 2021 prosegue l’espansione del tessuto imprenditoriale lombardo. Il numero di imprese registrate all’anagrafe delle Camere di Commercio lombarde sale infatti a 959.861, l’1,2% in più su base annua, mentre le posizioni attive sono 823.609 (+1,5%). I valori hanno quindi recuperato i livelli pre-crisi, superando anche le percentuali che avevano caratterizzato l’ultimo decennio per le imprese attive. Si tratta dei dati emersi dal report sulla demografia di impresa in Lombardia nel terzo trimestre 2021 di Unioncamere Lombardia. Secondo il report l’andamento positivo è legato a vari fattori, e al loro impatto nel periodo di emergenza sanitaria sulle dinamiche della natimortalità.

Nel 2021 le iscrizioni tornano ai livelli pre-Covid

Nel 2020 le misure di contenimento della pandemia avevano comportato un forte calo sia delle iscrizioni sia delle cessazioni, con una diminuzione più marcata sugli ingressi che aveva determinato un calo dello stock. Nel 2021 le iscrizioni si sono rapidamente riportate sui livelli pre-Covid, mentre le cessazioni sono rimaste su valori inferiori, anche per il protrarsi delle misure di sostegno da parte delle istituzioni che hanno di fatto disincentivato le chiusure. Questa tendenza è confermata nel terzo trimestre 2021, che registra un numero di iscrizioni (10.632) in linea rispetto allo stesso periodo del 2019, e un numero di cancellazioni (7.193) che risulta invece ancora inferiore di circa 2 mila movimenti.

Da servizi e costruzioni il maggior contributo alla crescita

I principali contributi alla crescita del numero di imprese attive provengono dai servizi (+3,1% su base annua) e dalle costruzioni (+2,3%). Nel primo caso si tratta della conferma della progressiva terziarizzazione dell’economia, fenomeno in corso da molti anni, mentre per l’edilizia l’incremento è frutto del periodo favorevole che il settore sta attraversando dopo una lunga crisi. La ripresa delle costruzioni è correlata all’inversione di tendenza registrata nel 2021 dalle imprese artigiane (+0,5%; terzo segno positivo consecutivo), dove il comparto edile rappresenta il 40%. Variazioni positive si riscontrano anche nelle attività di alloggio e ristorazione (+0,8%) e nel commercio (+0,5%).

Si riaccende la voglia di fare impresa

“La ripresa in corso ha riacceso la voglia di fare impresa in Lombardia, anche in settori, come l’edilizia e l’artigianato, reduci da lunghi anni di crisi, e questi dati sono indubbiamente positivi – dichiara il presidente di Unioncamere Lombardia, Gian Domenico Auricchio -. Non è per ora possibile misurare il pieno impatto dell’emergenza sanitaria sul tessuto imprenditoriale lombardo, che grazie alle misure di sostegno non ha ancora avuto l’emorragia di imprese che si è temuta da più parti”.

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Industria 4.0, un mercato da oltre 4,5 miliardi di euro

Il mercato italiano dell’Industria 4.0 nel 2020 ha raggiunto un valore di 4,1 miliardi di euro, con una crescita dell’8%, trainata soprattutto dalle tecnologie IT, che rappresentano l’85% della spesa contro il 15% delle OT (Operational Technologies). Anche se la crescita del mercato è stata inferiore alle previsioni formulate nel 2019 (+20%), ugualmente è stata molto positiva, se si considera che le stime effettuate durante il primo lockdown delineavano un calo del 5%. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Transizione Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno online ‘L’Industria 4.0 in un mondo che cambia’.

Analisi della spesa

Gli investimenti delle imprese manifatturiere si concentrano prevalentemente in progetti di connettività e acquisizione di dati (IoT), che valgono 2,4 miliardi di euro e il 60% della spesa, e negli Industrial Analytics, con 685 milioni e il 17% del mercato. Il resto della spesa in soluzioni 4.0 si suddivide fra Cloud Manufacturing (390 milioni, 8%), servizi di consulenza e formazione (275 milioni, 7%), Advanced Automation (215 milioni, 5%), Additive Manufacturing (92 milioni, 2%) e Advanced Human Machine Interface (57 milioni, 1%).

Le previsioni per il 2021

Le previsioni per il 2021 indicano un’ulteriore accelerazione della spesa, a un tasso compreso fra +12% e +15%, superando i 4,5 miliardi di euro, spinta in particolare da Cloud Manufacturing (+25-30%), Advanced Automation (+15-20%) e Advanced HMI (+12-18%), mentre si stimano incrementi meno sostenuti per Industrial IoT (+9-14%), Advanced Analytics (+12-16%) e Additive Manufacturing (+6-12%). Continua poi la crescita dei servizi, per i quali si prevede un aumento del 10-15%.

Le applicazioni più diffuse sono le soluzioni di Industrial IoT

Quanto alle applicazioni, sono circa 1.400 le applicazioni di Industria 4.0 utilizzate dalle imprese manifatturiere, il 28% in più rispetto al 2019. Le più diffuse sono le soluzioni di Industrial IoT, pari a un quarto del totale (380, +31%), spesso combinate con algoritmi di Analytics e AI. Seguono le tecnologie Advanced HMI, come i wearable e le interfacce uomo-macchina per acquisire e veicolare dati in formato visuale, vocale e tattile (286, +15%), Advanced Automation (241, +5%), cioè i sistemi di produzione automatizzati come i robot collaborativi, Industrial Analytics, le applicazioni più in crescita (200, +39%), focalizzate sulla previsione delle prestazioni degli assetti industriali e dei processi produttivi, Cloud Manufacturing (140, +33%), utilizzate soprattutto per il monitoraggio e la diagnostica degli impianti industriali da remoto, e Additive Manufacturing (125, +30%), nota anche come Stampa 3D e diffusa principalmente nei settori automotive e aerospaziale.

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Criptovalute, un mercato che supera 2 mila miliardi di dollari

A settembre il valore totale del mercato delle criptovalute ha superato i 2.000 miliardi di dollari, dieci volte di più rispetto all’inizio del 2020. I soli stablecoin hanno toccato quota 120 miliardi. quadruplicando dall’inizio dell’anno. Il calcolo è del Fondo monetario internazionale secondo cui, insieme a “un nuovo mondo di opportunità”, crescono anche sfide e rischi. Finora, sottolinea il Global financial stability report, gli incidenti registrati “non hanno avuto un impatto significativo”, ma “man mano che il settore diventerà sempre più mainstream, la loro importanza in termini di implicazioni potenziali per tutta l’economia è destinata ad aumentare”. In particolare, l’Fmi mette in guardia sui rischi che corrono i consumatori. Di oltre 16.000 token quotati in vari scambi, soltanto 9.000 esistono ancora oggi, mentre il resto si è volatilizzato in varie forme.

L’anonimato delle criptoattività può aprire le porte al riciclaggio 

Questo perché, ad esempio, molti token non hanno più volume sufficiente o perché gli sviluppatori si sono ritirati dal progetto. O anche perché erano stati creati per mera speculazione o direttamente con intenzioni fraudolente. Inoltre, osserva il rapporto, l’anonimato delle criptoattività crea lacune di dati per i regolatori e può aprire le porte al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo. Per quanto le autorità siano in grado di tracciare le transazioni illecite, possono avere difficoltà a risalire alle parti coinvolte. Senza dimenticare che la differenza delle cornici regolatorie tra i vari Paesi complica il coordinamento, con molte transazioni che avvengono tra entità che operano principalmente in centri finanziari offshore. “Ciò – avverte il Fondo – rende la supervisione e il controllo non solo complicato, ma quasi impossibile senza collaborazione internazionale”.

Rischio criptizzazione dell’economia

A preoccupare gli economisti di Washington è anche il rapido diffondersi delle criptoattività nei Paesi emergenti e in via di sviluppo.
“Guardando al futuro – avverte il Gfsr – un’adozione così rapida e diffusa può porre significative sfide rafforzando la dollarizzazione dell’economia, o in questo caso la criptizzazione, con i cittadini che cominciano a usare criptovalute al posto della moneta locale. E ciò può ridurre la capacità delle banche centrali di condurre con efficacia la propria politica monetaria”. Le criptoattività potrebbero inoltre favorire l’evasione fiscale e i deflussi di capitale.

Regolatori e supervisori devono monitorare lo sviluppo di questo ecosistema

Di qui l’esortazione del Fondo ad agire in modo deciso, rapido e ben coordinato a livello globale, riporta Agi. Cinque sono i suggerimenti che arrivano da Washington, e il primo è l’invito a regolatori e supervisori a monitorare il rapido sviluppo di questo ecosistema e i rischi che può porre, affrontando il nodo della carenza di dati. I regolatori nazionali, inoltre, dovrebbero dare la priorità all’applicazione degli standard globali esistenti. E quanto al ruolo degli stablecoin, la regolamentazione “dovrebbe essere proporzionata ai rischi che pongono e alle funzioni che svolgono, allineandola a quella di altre entità che forniscono strumenti simili, come depositi bancari o fondi monetari di mercato”.

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Ritorno all’economia precrisi solo dal 2023: lo pensa l’84% dei manager

L’impatto del Covid-19 è stato pesantissimo per l’economia del nostro Paese, inutile negarlo. E anche ora, che le cose sembrano andare meglio soprattutto grazie alla campagna vaccinale massiccia, resistono luci e ombre sulle prospettive del prossimo futuro. Sono in gran parte pessimisti soprattutto i manager della Distribuzione Moderna, che nell’84% dei casi prevedono un ritorno ai valori precrisi non prima del 2023. Lo segnala l’Osservatorio Federdistribuzione ‘Consumi, Nuove Abitudini d’Acquisto e Stili di Vita’, in collaborazione con PwC, pubblicato di recente, che ha monitorato il sentiment di 280 soggetti con profilo manageriale-executive. Si tratta di una previsione comunque che getta lo sguardo oltre perché il 30% dei manager ritiene che questo avvenga nell’orizzonte temporale del 2023, il 21% nel 2024 e ben il 33% a partire dal 2025. Soltanto l’1% dei rispondenti ritiene che si tornerà in “pari” nel 2021 e il 15% nel 2022.

Sostegni alle famiglie per riequilibrare domanda e offerta

Tra i motivi che hanno portato a questa tipologia di risposte, ovvero con la visione di una ripresa dell’economia distante almeno fino al 2023, è in particolare modo la peggiorata situazione finanziaria delle famiglie italiane. La riduzione del reddito familiare, come causa diretta generata dalla pandemia di coronavirus,   è stata registrata dal 57% degli italiani e ha determinato un impatto negativo sul commercio al dettaglio che colpisce maggiormente le categorie non alimentari, conseguentemente generando, in assenza di una significativa ripresa, un potenziale rischio per la tenuta delle imprese. Per questa ragione i manager della Distribuzione Moderna, come riporta lo studio, auspicano interventi di sostegno ai consumi delle famiglie, quota rilevante del Pil italiano (21,7% nel 2019), per garantire occupazione e ristabilire l’incontro tra domanda e offerta, attraverso specifiche misure quali la revisione delle aliquote Iva e la riduzione della pressione fiscale sui ceti medi e famiglie con figli.

Gli interventi attesi dalla categoria

Per ridare nuovo slancio all’economia del nostro Paese, come sottolinea ancora il rapporto, “Federdistribuzione propone inoltre di incentivare gli investimenti nel settore della Distribuzione Moderna, capace di generare e sostenere un elevato livello occupazionale e un indotto rilevante sul territori e non ultimo, di incentivare gli investimenti in ampliamento e ammodernamento della rete commerciale tramite agevolazioni per la ristrutturazione delle strutture commerciali e riqualificazione energetica, come ad esempio l’estensione dell’ecobonus 110% per gli interventi sugli immobili commerciali, con un impulso diretto e concreto sul territorio, dal punto di vista dell’indotto generato, innovazione e sostenibilità”.

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Beni di largo consumo, quelli non alimentari perdono il 3% in Europa

Dal 2020, a causa dell’emergenza sanitaria, sono cambiate moltissime cose a livello mondiale, comprese le abitudini di acquisto dei consumatori. E, in Europa, sono mutati decisamente i comportamenti per quanto riguarda i beni di largo consumo. Per esplorare l’andamento del settore Retail nel Vecchio Continente, GFK ha curato uno studio dedicato che rivela i principali indicatori di mercato per il 2020 e il loro impatto sul commercio al dettaglio, anche on line, nei 27 Paesi dell’area Ue. Lo studio include un’analisi delle tendenze registrate nei diversi Paesi europei analizzati, offrendo indicazioni preziose per retailer e investitori.

Salgono gli alimentari, giù il Non Food

Le vendite al dettaglio di beni di Largo Consumo in Europa sono cresciute del +5,5% nel corso del 2020. Questo incremento è dovuto al maggiore consumo di cibo e bevande in casa, a causa delle chiusure di ristoranti, mense e a fenomeni come il coprifuoco, che hanno ridotto la mobilità dei cittadini. Gli aumenti più forti sono stati registrati in Germania (+12,4%), Irlanda (+10,3%), Austria (+8,4%) e Lussemburgo (+8,0%). Al contrario, le vendite al dettaglio di beni Non Food sono scese del -3% a livello europeo.

In Italia, Spagna e Cipro la maggiore contrazione del reddito medio

Gli effetti della pandemia e tutte le restrizioni ad essa collegate hanno inciso pesantemente anche sul reddito delle famiglie europee, anche se in maniera differente da Stato a Stato. Tra i 27 paesi europei analizzati, Spagna, Italia e Cipro sono quelli che hanno registrato la maggiore contrazione del reddito medio, da una parte a causa dei lunghi periodi di lockdown, dall’altra per la crisi dell’economia dal turismo, particolarmente importante in questi Paesi. Anche l’Ungheria, che negli scorsi anni aveva registrato incrementi significativi del reddito medio, ha registrato un forte blocco.

Aumenta il peso della vendita al dettaglio sui budget familiari

Ci sono però dei cambiamenti rispetto agli anni passati per quanto riguarda la quota delle vendite al dettaglio sul totale della spesa dei consumatori. Nel 2020, infatti, questa è aumentata significativamente. In media, i cittadini europei hanno destinato il 35,5% delle loro spese annue al commercio al dettaglio. L’incidenza della spesa destinata al Retail è particolarmente elevata in Croazia (50,9%) e Ungheria (53,3%).
“La pandemia da Coronavirus ha portato all’emergere o all’accelerazione di alcuni fenomeni che modificheranno il format dei negozi nel lungo periodo” ha detto il responsabile dello studio Johannes Schamel. “Il commercio online ha consolidato la propria crescita, in particolare per quanto riguarda i Retailer omnichannel, che stanno crescendo più rapidamente dei Pure Players online. Anche i negozi dei centri cittadini dovranno adattarsi ai cambiamenti nelle abitudini e nella frequenza di visita dei consumatori, che abbiamo osservato ad esempio in Germania”.

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Commercio digitale, nel primo trimestre 2021 in Italia è cresciuto del 78%

Vero e proprio exploit del commercio digitale in Italia nel primo trimestre del 2021. Nel nostro Paese, infatti, le vendite on line sono cresciute del 78%, ben al di sopra della media globale che si attesta a +58%. A dare i numeri di un fenomeno planetario è l’ultimo Shopping Index di Salesforce, il report trimestrale che racconta i trend dello shopping online attraverso i dati di oltre un miliardo di consumatori in tutto il mondo. Quello che emerge con maggior forza è che il fenomeno degli acquisti digitali è ormai entrato nelle abitudini di acquisto dei consumatori, registrando valori decisamente superiori rispetto a quelli pre pandemia. E l’Italia è tra i best performer in questo ambito, posizionandosi al quarto posto tra i paesi con il maggior aumento percentuale dopo Canada, Olanda e Regno Unito.

Cosa si compra?

A livello globale,  la crescita degli ordini è aumentata del 46% su base annua (34% su PC e ben 59% su dispositivi mobili). Per quanto riguarda le categorie di prodotto che hanno totalizzato i maggiori aumenti di fatturato nel primo trimestre, si piazzano gli articoli sportivi (101%), gli elettrodomestici (96%) e le borse di lusso. Quelli che invece hanno registrato la crescita minore di fatturato su base annua sono abbigliamento sportivo (42%), prodotti per la casa, cucina e arredamento (40%), borse e valigie generiche (8%). In ogni caso, appare evidente che gran parte degli acquisti si sono spostati sul web.

I dati italiani

Come dicevamo, in Italia il commercio digitale a livello globale è cresciuto del 78% su base annua nel primo trimestre. Una crescita considerevole, al di sopra di quella globale e ben oltre il tasso di crescita totalizzato nel primo trimestre 2020, che si attestava al 26%. Interessante anche il balzo in avanti fatto dal traffico generato da mobile, che dal 21% dell’ultimo trimestre del 2020 ha toccato il 24% nel primo trimestre del 2021. Contestualmente, si è dimezzata la crescita da Pc, passata dal 40% al 20% nello stesso lasso di tempo.  Un dato che mostra comunque una forte crescita rispetto al primo trimestre 2020, quando il traffico generato da PC si attestava al 12%. Tuttavia, nonostante queste ottime performance in merito al commercio digitale, l’Italia resta tra i paesi con i tassi di conversione più bassi al mondo (1,1%) insieme a Giappone (1,2%) e Spagna (1%).

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