Industria e turismo culturale, come cambiano le abitudini con il Covid

Approfondire lo scenario dell’industria culturale e creativa italiana e del turismo culturale per individuare gli elementi che possano favorirne la ripresa e fornire alle imprese della filiera elementi utili a definire le strategie di ripartenza. Questi gli obiettivi di Italia: lo Stato dell’arte, il ciclo di incontri realizzato da UniCredit con Nomisma, che ha presentato i dati rilevati dalle analisi svolte per UniCredit rispetto al modo in cui gli italiani si approcciano all’intrattenimento audiovisivo dopo il Covid-19 e al loro rapporto con il turismo culturale.

Mutano le modalità di fruizione degli spettacoli

Le chiusure dovute all’emergenza sanitaria hanno determinato una contrazione della domanda e dell’offerta nel comparto audiovisivo. Questo però non ha frenato la fruizione di prodotti culturali da parte degli italiani che hanno sperimentato nuove modalità per assistere a spettacoli e concerti. La crisi pandemica ha difatti accelerato il processo di digitalizzazione, un’evoluzione che offre agli utenti la possibilità di accedere a contenuti e servizi in modo più personalizzato. In particolare, dall’inizio della pandemia il 33% ha seguito dirette social in cui musicisti e cantanti famosi si esibivano dalle proprie abitazioni, il 13% ha visitato virtualmente mostre, musei, aree archeologiche, il 6% ha visto spettacoli teatrali in streaming e il 4% ha assistito a concerti virtuali, direttamente dal proprio pc, pagando un biglietto.

Aumenta la voglia di live

L’allentamento delle restrizioni, d’altra parte, fa crescere negli italiani la voglia di assistere di nuovo agli eventi dal vivo: il 40% è pronto a tornare al cinema, 1 italiano su 3 a visitare un museo, il 30% è impaziente di assistere a un concerto live e 1 italiano su 6 ha intenzione di partecipare a uno spettacolo teatrale. Questa “voglia di live” non deve stupire. Il 39% considera gli eventi live un modo per trascorrere del tempo con gli amici e la famiglia, 1 su 5 li vede come un’opportunità per conoscere persone nuove e condividere gli stessi interessi, mentre per il 15% sono uno strumento per sentirsi parte di una comunità. Un altro 34% intravede poi negli spettacoli dal vivo occasioni per conoscere e imparare cose nuove.

Turismo culturale: il ruolo della cultura nelle scelte di viaggio degli italiani

L’offerta culturale rappresenta un driver di scelta importante delle mete da visitare. Secondo la ricerca, infatti, il 36% degli italiani è mosso dall’interesse di scoprire la storia e la tradizione dei luoghi visitati, e 1 su 4 è intenzionato a visitare mostre, musei, aree archeologiche, siti Unesco. Il 15%, invece, seleziona la meta a seconda degli eventi, dei concerti e delle manifestazioni presenti.
Anche nel caso del turismo culturale, così come nel comparto audiovisivo, gli italiani vedono nella tecnologia uno strumento per fruire di una migliore esperienza all’insegna di semplificazione e organizzazione. L’80%, ad esempio, considera importante o molto importante poter prenotare online le attività da svolgere e il 77% ritiene rilevante poter accedere a un sito web che presenti un elenco degli eventi organizzati sul territorio.

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Ritorno all’economia precrisi solo dal 2023: lo pensa l’84% dei manager

L’impatto del Covid-19 è stato pesantissimo per l’economia del nostro Paese, inutile negarlo. E anche ora, che le cose sembrano andare meglio soprattutto grazie alla campagna vaccinale massiccia, resistono luci e ombre sulle prospettive del prossimo futuro. Sono in gran parte pessimisti soprattutto i manager della Distribuzione Moderna, che nell’84% dei casi prevedono un ritorno ai valori precrisi non prima del 2023. Lo segnala l’Osservatorio Federdistribuzione ‘Consumi, Nuove Abitudini d’Acquisto e Stili di Vita’, in collaborazione con PwC, pubblicato di recente, che ha monitorato il sentiment di 280 soggetti con profilo manageriale-executive. Si tratta di una previsione comunque che getta lo sguardo oltre perché il 30% dei manager ritiene che questo avvenga nell’orizzonte temporale del 2023, il 21% nel 2024 e ben il 33% a partire dal 2025. Soltanto l’1% dei rispondenti ritiene che si tornerà in “pari” nel 2021 e il 15% nel 2022.

Sostegni alle famiglie per riequilibrare domanda e offerta

Tra i motivi che hanno portato a questa tipologia di risposte, ovvero con la visione di una ripresa dell’economia distante almeno fino al 2023, è in particolare modo la peggiorata situazione finanziaria delle famiglie italiane. La riduzione del reddito familiare, come causa diretta generata dalla pandemia di coronavirus,   è stata registrata dal 57% degli italiani e ha determinato un impatto negativo sul commercio al dettaglio che colpisce maggiormente le categorie non alimentari, conseguentemente generando, in assenza di una significativa ripresa, un potenziale rischio per la tenuta delle imprese. Per questa ragione i manager della Distribuzione Moderna, come riporta lo studio, auspicano interventi di sostegno ai consumi delle famiglie, quota rilevante del Pil italiano (21,7% nel 2019), per garantire occupazione e ristabilire l’incontro tra domanda e offerta, attraverso specifiche misure quali la revisione delle aliquote Iva e la riduzione della pressione fiscale sui ceti medi e famiglie con figli.

Gli interventi attesi dalla categoria

Per ridare nuovo slancio all’economia del nostro Paese, come sottolinea ancora il rapporto, “Federdistribuzione propone inoltre di incentivare gli investimenti nel settore della Distribuzione Moderna, capace di generare e sostenere un elevato livello occupazionale e un indotto rilevante sul territori e non ultimo, di incentivare gli investimenti in ampliamento e ammodernamento della rete commerciale tramite agevolazioni per la ristrutturazione delle strutture commerciali e riqualificazione energetica, come ad esempio l’estensione dell’ecobonus 110% per gli interventi sugli immobili commerciali, con un impulso diretto e concreto sul territorio, dal punto di vista dell’indotto generato, innovazione e sostenibilità”.

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Beni di largo consumo, quelli non alimentari perdono il 3% in Europa

Dal 2020, a causa dell’emergenza sanitaria, sono cambiate moltissime cose a livello mondiale, comprese le abitudini di acquisto dei consumatori. E, in Europa, sono mutati decisamente i comportamenti per quanto riguarda i beni di largo consumo. Per esplorare l’andamento del settore Retail nel Vecchio Continente, GFK ha curato uno studio dedicato che rivela i principali indicatori di mercato per il 2020 e il loro impatto sul commercio al dettaglio, anche on line, nei 27 Paesi dell’area Ue. Lo studio include un’analisi delle tendenze registrate nei diversi Paesi europei analizzati, offrendo indicazioni preziose per retailer e investitori.

Salgono gli alimentari, giù il Non Food

Le vendite al dettaglio di beni di Largo Consumo in Europa sono cresciute del +5,5% nel corso del 2020. Questo incremento è dovuto al maggiore consumo di cibo e bevande in casa, a causa delle chiusure di ristoranti, mense e a fenomeni come il coprifuoco, che hanno ridotto la mobilità dei cittadini. Gli aumenti più forti sono stati registrati in Germania (+12,4%), Irlanda (+10,3%), Austria (+8,4%) e Lussemburgo (+8,0%). Al contrario, le vendite al dettaglio di beni Non Food sono scese del -3% a livello europeo.

In Italia, Spagna e Cipro la maggiore contrazione del reddito medio

Gli effetti della pandemia e tutte le restrizioni ad essa collegate hanno inciso pesantemente anche sul reddito delle famiglie europee, anche se in maniera differente da Stato a Stato. Tra i 27 paesi europei analizzati, Spagna, Italia e Cipro sono quelli che hanno registrato la maggiore contrazione del reddito medio, da una parte a causa dei lunghi periodi di lockdown, dall’altra per la crisi dell’economia dal turismo, particolarmente importante in questi Paesi. Anche l’Ungheria, che negli scorsi anni aveva registrato incrementi significativi del reddito medio, ha registrato un forte blocco.

Aumenta il peso della vendita al dettaglio sui budget familiari

Ci sono però dei cambiamenti rispetto agli anni passati per quanto riguarda la quota delle vendite al dettaglio sul totale della spesa dei consumatori. Nel 2020, infatti, questa è aumentata significativamente. In media, i cittadini europei hanno destinato il 35,5% delle loro spese annue al commercio al dettaglio. L’incidenza della spesa destinata al Retail è particolarmente elevata in Croazia (50,9%) e Ungheria (53,3%).
“La pandemia da Coronavirus ha portato all’emergere o all’accelerazione di alcuni fenomeni che modificheranno il format dei negozi nel lungo periodo” ha detto il responsabile dello studio Johannes Schamel. “Il commercio online ha consolidato la propria crescita, in particolare per quanto riguarda i Retailer omnichannel, che stanno crescendo più rapidamente dei Pure Players online. Anche i negozi dei centri cittadini dovranno adattarsi ai cambiamenti nelle abitudini e nella frequenza di visita dei consumatori, che abbiamo osservato ad esempio in Germania”.

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Come fare manutenzione in giardino durante tutto l’anno?

Oggi il nostro partner Vivai Colleoni di Palazzago, leader e punto di riferimento nel bresciano per la progettazione e manutenzioni di giardini ed aree verdi, ci fornisce qualche utile consiglio. Prendersi cura di un giardino significa dover apportare continuamente degli interventi di manutenzione al fine di garantire alle piante, agli alberi ed al prato le cure adeguate nel corso dell’anno per evitare che possano ammalarsi o deteriorarsi. Per questo motivo è importante acquisire le informazioni di base che consentono di mettere in pratica una manutenzione giardini efficace e che serva a rendere il proprio giardino un luogo estremamente piacevole.

Per curare adeguatamente il giardino ci sono delle cure che vanno apportate tipicamente in specifici periodi dell’anno. In inverno ad esempio è bene mettere in pratica tutti quegli interventi che consentono di prevenire eventuali danni dovuti alle basse temperature. In estate è invece bene fare in modo che le piante non soffrano particolarmente le alte temperature tipiche del periodo estivo così come l’umidità e l’insorgere di eventuali parassiti.

Manutenzione del giardino in estate

Le temperature torride e l’alta umidità che caratterizzano il periodo estivo mettono a rischio la salute di ogni giardino soprattutto a causa delle malattie fungine che si presentano in questi mesi dell’anno, così come la presenza di alcuni parassiti che proprio grazie al calore riescono a proliferare in questo periodo.

Per questo motivo è bene effettuare una corretta irrigazione, ovvero dare la giusta quantità di acqua (né troppa né poca), e soprattutto andare ad annaffiare nel momento giusto della giornata, ovvero al mattino o al tramonto per evitare che l’acqua evapori troppo velocemente.

Manutenzione del giardino in inverno

Il rigido clima invernale richiede necessariamente alcuni interventi da parte nostra per proteggere prato e piante dal freddo eccessivo e preparare al meglio il nostro giardino all’arrivo della Primavera. In tal senso una delle prime cose da fare è rimuovere le foglie cadute dagli alberi mediante un apposito rastrello. Questo è importante perché se le foglie iniziano a macerare vanno a creare delle condizioni favorevoli per l’insorgere di dannosi funghi.

Per quanti vivono invece in zone particolarmente fredde, nelle quali in inverno nevica abbondantemente, è consigliato di adoperare specifici teli realizzati con la microfibra di cotone, che una volta adagiati sul prato consentono di coprirlo nei giorni più freddi proteggendolo così dalle gelate.

Questi sono soltanto alcuni consigli che possono essere utili per prenderti cura del tuo giardino, in estate così come in inverno.

Commercio digitale, nel primo trimestre 2021 in Italia è cresciuto del 78%

Vero e proprio exploit del commercio digitale in Italia nel primo trimestre del 2021. Nel nostro Paese, infatti, le vendite on line sono cresciute del 78%, ben al di sopra della media globale che si attesta a +58%. A dare i numeri di un fenomeno planetario è l’ultimo Shopping Index di Salesforce, il report trimestrale che racconta i trend dello shopping online attraverso i dati di oltre un miliardo di consumatori in tutto il mondo. Quello che emerge con maggior forza è che il fenomeno degli acquisti digitali è ormai entrato nelle abitudini di acquisto dei consumatori, registrando valori decisamente superiori rispetto a quelli pre pandemia. E l’Italia è tra i best performer in questo ambito, posizionandosi al quarto posto tra i paesi con il maggior aumento percentuale dopo Canada, Olanda e Regno Unito.

Cosa si compra?

A livello globale,  la crescita degli ordini è aumentata del 46% su base annua (34% su PC e ben 59% su dispositivi mobili). Per quanto riguarda le categorie di prodotto che hanno totalizzato i maggiori aumenti di fatturato nel primo trimestre, si piazzano gli articoli sportivi (101%), gli elettrodomestici (96%) e le borse di lusso. Quelli che invece hanno registrato la crescita minore di fatturato su base annua sono abbigliamento sportivo (42%), prodotti per la casa, cucina e arredamento (40%), borse e valigie generiche (8%). In ogni caso, appare evidente che gran parte degli acquisti si sono spostati sul web.

I dati italiani

Come dicevamo, in Italia il commercio digitale a livello globale è cresciuto del 78% su base annua nel primo trimestre. Una crescita considerevole, al di sopra di quella globale e ben oltre il tasso di crescita totalizzato nel primo trimestre 2020, che si attestava al 26%. Interessante anche il balzo in avanti fatto dal traffico generato da mobile, che dal 21% dell’ultimo trimestre del 2020 ha toccato il 24% nel primo trimestre del 2021. Contestualmente, si è dimezzata la crescita da Pc, passata dal 40% al 20% nello stesso lasso di tempo.  Un dato che mostra comunque una forte crescita rispetto al primo trimestre 2020, quando il traffico generato da PC si attestava al 12%. Tuttavia, nonostante queste ottime performance in merito al commercio digitale, l’Italia resta tra i paesi con i tassi di conversione più bassi al mondo (1,1%) insieme a Giappone (1,2%) e Spagna (1%).

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La metà degli under 35 italiani vive con mamma e papà

Attaccatissimi alla famiglia d’origine, tanto da non volerla lasciare nemmeno da adulti, oppure costretti dalle ristrettezze economiche? E’ la domanda che viene da porsi quando si scopre che circa la metà degli under 35 italiani (il 50,3% per la precisione) vive ancora con i genitori. Dall’analisi emersa dal focus sul lavoro del Consiglio Nazionale del Giovani in collaborazione con Eures pare proprio che questo fenomeno si spieghi con le difficoltà dei giovani a rendersi autonomi. A 5 anni dalla fine degli studi solo uno su 3 ha un’occupazione stabile. E il 44% vede la pensione dopo i 70 anni.

Tra i giovani solo uno su tre può contare su un lavoro stabile

Nei cinque anni successivi al completamento degli studi, solo il 37% degli italiani può fare affidamento su un lavoro stabile, mentre il 26%  è rappresentato da precari  con contratto a termine e un quarto degli under 35 (24%) risulta disoccupato. Una situazione preoccupante, come sottolinea Maria Cristina Pisani, presidente del Cng: “Nel nostro Paese, la discontinuità lavorativa è arrivata a rappresentare una condizione strutturale del mercato del lavoro e il fenomeno della precarizzazione, destinato ad aumentare alla luce della crisi post pandemica, investe inevitabilmente la qualità della vita con conseguenze significative sulla dimensione retributiva dei nostri giovani, anche a causa di un sistema pensionistico messo a rischio dalle passate generazioni”.

Il 33% degli under 35 non vuole figli e solo il 6,5% li ha già

Naturalmente questa condizione di precarietà riverbera anche sulla scelta di costruirsi o meno una famiglia. Solo il 6,5% dei giovani dai 18 ai 35 anni ha confermato di avere figli (8,8% dei lavoratori a tempo indeterminato), mentre ben un terzo degli intervistati (33%) ha dichiarato di non averli e di non volerli nemmeno in futuro. Mancano infatti le condizioni per mettere su famiglia: solo il 12% dei giovani sotto i 35 anni possiede la casa in cui abita. Uno su dieci (11%) ha tentato di acquistare un appartamento, uno sparuto 7,8% è riuscito anche a ottenere un mutuo e in un terzo dei casi (3% del campione) il mutuo è stato rifiutato. Il 40% dei giovani non fa nemmeno domande perché sa già in partenza di non avere i requisiti necessari per ottenerlo. Insomma, una fotografia non certo rosea della realtà in cui vivono le nuove generazioni: forse l’Italia è un paese per vecchi.

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PNNR: quali sono le riforme più urgenti per gli italiani?

Sono principalmente i temi legati a lavoro, istruzione, giustizia e fisco quelli su cui gli italiani sono più sensibili in merito al nuovo PNRR (Piano Nazionale di Recupero e Riabilitazione). E, sempre nei confronti del Piano formulato dal Governo, i nostri connazionali si dichiarano abbastanza ottimisti. A fotografare il sentiment degli italiani su questo importantissimo argomento è stata un’indagine condotta dall’Osservatorio LegaCoop, ideata e realizzata dall’area ricerca di Ipsos e dall’Associazione. Alla domanda se il Governo sarà in grado di attuare le riforme di cui si discute da anni, il 53% degli intervistati ha risposto di sì (47% probabilmente sì, 6% sicuramente sì), mentre il 47% ha risposto di no (il 40% probabilmente no, il 7% sicuramente no). Tra chi nutre più fiducia nelle capacità del Governo i cittadini delle isole (68%), gli over 50 (59%) e il ceto medio (58%); tra i più scettici chi vive nel nord ovest (58%) e il ceto popolare (57%).

Le riforme necessarie secondo i nostri connazionali

Riguardo alle riforme da realizzare per poter disporre delle risorse europee indispensabili a garantire pieno successo agli investimenti programmati nel PNRR, gli intervistati hanno indicato al primo posto la riforma del lavoro (il 66%, con punte del 74% tra gli under 30 e del 73% tra le donne), seguita, a pari merito, da quelle dell’istruzione (37%, con una punta del 53% tra gli under 30) e della giustizia (37%). Al quarto posto, solo un gradino sotto, la riforma del fisco (36%, con una punta del 43% al Nord Est).

Cosa dovrebbe cambiare nel fisco

Lavoro e fisco sono due temi particolarmente sentiti dagli italiani. In particolare, per quanto riguarda la riforma del fisco gli intervistati hanno espresso le loro opinioni con chiarezza. Il 61% indica come intervento più utile il taglio della pressione fiscale sul lavoro (con punte del 70% nella popolazione delle isole e del 67% in quella del Nord Est), seguito dalla lotta all’evasione fiscale (57%, che sale al 63% nel ceto medio). Tra gli altri interventi indicati come importanti (anche se con percentuali più basse rispetto ai precedenti) ci sono l’indicazione di introdurre un’imposta sulla prima casa solo per case di pregio e ville (28%, che sale al 34% nel ceto popolare) e uno sconto fiscale per le imprese che reinvestono tutti gli utili nello sviluppo o nel patrimonio dell’impresa (25%, e 31% tra gli under 30).

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