PNRR: le Pmi investono su digitalizzazione e innovazione d’impresa

Un’indagine condotta da Qonto, in collaborazione con OnePoll, ha indagato lo stato di digitalizzazione delle Pmi italiane, analizzando il comportamento nei confronti degli incentivi previsti dal PNRR, il livello di competenze digitali, e gli investimenti nella formazione. Secondo l’indagine, il 55% delle Pmi ha già fatto ricorso agli incentivi, un dato in crescita rispetto al 2022 (43%), mentre tra quelle che non hanno ancora fatto ricorso ai fondi, quasi il 70% ha intenzione di usufruirne nel corso del 2023. Per quanto riguarda gli impieghi dei fondi, l’82% utilizzerà gli incentivi per investire nella digitalizzazione e innovazione tecnologica dell’impresa.
Il PNRR, organizzato in 6 missioni, prevede per l’Italia 191,5 miliardi di fondi per innovazione e digitalizzazione, transizione ecologica e inclusione sociale entro il 2026. A oggi l’Italia ha ricevuto dalla Ue quasi 67 miliardi di euro. 

Aderiscono agli incentivi soprattutto le realtà tra 50 e 250 dipendenti

Dall’indagine emerge in particolare che ad avere già aderito agli incentivi continuano a essere soprattutto le Pmi più grandi. Tra le aziende da 50 a 250 dipendenti il 59% ne ha già fatto ricorso, in crescita rispetto al 2022 (56%), mentre tra le micro-imprese fino a 10 dipendenti solo una su quattro (25%) si è già attivata per utilizzare i fondi. Solo il 35% delle Pmi però ha utilizzato e vuole utilizzare i fondi come il React-Eu a sostegno di Pmi e professionisti contro il caro bollette, che per l’Italia presenta una disponibilità di 14,4 miliardi. Interessante notare come la percentuale si alza tra le micro-imprese fino a 10 dipendenti (57%).

L’Intelligenza Artificiale entra in azienda 

L’impegno verso la digitalizzazione implica la disponibilità di risorse formate e competenti, il 66% dichiara infatti di avere necessità di profili con expertise specifiche per la propria azienda, ma oltre un’impresa su due (56,5%) riscontra difficoltà nel reperire questi profili. Digitalizzazione e innovazione sono aspetti che vanno di pari passo, e la spinta verso l’innovazione tecnologica è confermata anche dal 43% degli intervistati, che dichiara di aver adottato o aver intenzione di adottare nel prossimo futuro tecnologie di Intelligenza Artificiale nella propria azienda.

Pronte per i conti digital

L’indagine Qonto rivela inoltre che oltre il 77% degli intervistati utilizza regolarmente almeno un’app per pagamenti, attività bancarie, investimenti, prestiti o altre attività finanziarie nella propria vita personale o professionale. Il 72% delle Pmi preferisce effettuare pagamenti con carte di credito e debito, il 22,5% si affida a pagamenti via app, e solo il 5,5% in contanti.
Il 62% delle imprese poi ha almeno un conto digital: tra queste quasi il 46% sono aziende molto giovani (meno di tre anni di vita) o startup. Tra quelle che utilizzano solo soluzioni tradizionali, il 56% circa si dice pronta all’adozione di un conto digital.

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Italia paese di inventori: nel 2022 depositate 4.864 domande di brevetti

Nel corso del 2022, le aziende e gli inventori italiani hanno depositato un totale di 4.864 domande presso l’Ufficio europeo dei brevetti (Epo). Si tratta del secondo “record” più alto della storia, dopo l’export di 4.920 domande registrato nel 2021. Nonostante la diminuzione dell’1,1% rispetto all’anno precedente, il numero complessivo di richieste rimane elevato, grazie all’incremento costante del 6,5% nel 2021 e del 3,4% nel 2020, anni di pandemia. Nel corso degli ultimi cinque anni, le domande di brevetto provenienti dall’Italia sono cresciute del 10% in totale.

Crescono le innovazioni in tema green

Secondo l’indice dei brevetti del 2022, l’Epo ha ricevuto un totale di 193.460 domande, registrando un aumento del 2,5% rispetto all’anno precedente e stabilendo un nuovo record. Il presidente dell’Epo, António Campinos, ha dichiarato che si sta assistendo a una crescita solida e sostenuta delle domande di brevetto per le innovazioni verdi, le tecnologie per l’energia pulita e altri metodi per generare, distribuire o immagazzinare elettricità.

Lombardia la prima italiana per inventiva

In Italia, otto regioni si sono posizionate tra le prime cento in Europa per il numero di domande di brevetto presentate all’Epo. La Lombardia è stata la regione italiana con il maggior numero di domande, con 1.547 richieste, piazzandosi al dodicesimo posto in Europa. Al secondo e al terzo posto si sono posizionate rispettivamente l’Emilia Romagna, con il 24esimo posto in Europa, e il Veneto, al 32esimo posto.
Le altre regioni italiane incluse nella classifica sono state il Piemonte, la Toscana, il Lazio, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige, rispettivamente al 41esimo, 64esimo, 92esimo, novantesimo e 41esimo posto in Europa. L’Umbria è stata la regione che ha registrato la maggior crescita, con un aumento del 82,8%, seguita dalla Valle d’Aosta (+62,5%), dalla Basilicata (+33,3%) e dalla Campania (+20,2%).

Tre regioni italiane rappresentano il 60% delle domande

La Lombardia rappresenta la regione italiana con il maggior numero di richieste di brevetto, con il 31,8% del totale delle domande italiane. L’Emilia Romagna (16,2%) e il Veneto (14%) sono rispettivamente al secondo e al terzo posto. Queste tre regioni rappresentano più del 60% di tutte le domande di brevetto dall’Italia all’Epo. Qualunque sia la provenienza della domanda – e non sorprende che arrivi dalle aree più produttive dello stivale – il nostro Paese si conferma una fucina di creatività e innovazione. 

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Tecnologia di consumo: nel 2022 spesa in calo del -2,7%

Dopo un 2021 caratterizzato da numeri da record, e una crescita del +9,2%, per il settore della Tecnologia di consumo il 2022 si chiude con il segno negativo. Secondo le rilevazioni GfK le vendite in Italia hanno visto una contrazione del -2,7%, e il valore complessivo del mercato a fine anno si è attestato a 17 miliardi di euro. Nonostante questo, le rilevazioni GfK mettono in luce una performance positiva per Home Comfort, Piccolo Elettrodomestico e Telefonia. Frena invece l’Elettronica di consumo, che lo scorso anno aveva beneficiato degli effetti dello switch-off sulle vendite di TV.

Il trend è ancora positivo rispetto al 2020

Il confronto con il 2021 evidenzia anche differenze rispetto alle performance dei canali di vendita. Se nel 2021 era cresciuto soprattutto l’offline, nel 2022 le vendite effettuate sui canali tradizionali sono diminuite del -5,3%. Positivo invece il trend del canale online, cresciuto del +5,5% a valore, arrivando a pesare il 26,3% del mercato Tech nel suo compresso (nel 2022 vale il 24,2%). Confrontando i risultati del 2022 con quelli degli anni precedenti, il trend però è ancora positivo. Il mercato della Tecnologia segna infatti un +6% a valore rispetto al 2020, e un +16% rispetto al 2019. Una crescita influenzata sicuramente anche dall’aumento generalizzato dei prezzi, considerando che nel 2022 l’inflazione è salita al +8,1%.

Segno più per Home Comfort, Piccolo Elettrodomestico, Photo e Telefonia

Se il mercato nel suo complesso rallenta, alcuni settori hanno registrato risultati positivi anche nel corso del 2022. La crescita più significativa rispetto all’anno precedente è quella dell’Home Comfort (+25,3%), grazie alla performance dei condizionatori, che hanno beneficiato di un’estate molto calda, ma anche del bonus governativo per i prodotti con pompa di calore. In crescita rispetto al 2021 anche il Piccolo Elettrodomestico (+3,8%), il comparto Photo (+5%) e la Telefonia (+3,7%), il settore più importante per fatturato, con un peso sul totale del 36% e una crescita a valore di smartphone e wearable.

Effetto rimbalzo per Information Technology/Office: -9,9%

Inversione di tendenza invece per l’Elettronica di Consumo, che dopo la crescita registrata nel 2021 (+35,9%), dovuta anche agli effetti dello switch-off sulle vendite di TV, chiude il 2022 con una contrazione del -14,4%. Effetto rimbalzo anche per l’Information Technology/Office, che negli scorsi anni più di altri settori aveva beneficiato dell’impennata di acquisti legati agli effetti della pandemia su lavoro agile e DAD. Per questo comparto, il 2022 si chiude con una decrescita del -9,9%. Leggermente negativo anche il comparto del Grande Elettrodomestico, che segna un -2,1% rispetto al 2021.

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I consigli per cambiare lavoro e carriera al meglio

Si può cambiare lavoro attraverso il moving interno, ovvero, ricoprendo un’altra posizione all’interno dell’azienda in cui si è assunti, oppure cercare una occupazione in un’altra realtà. In quest’ultimo caso, il candidato ha due opzioni, mantenere la stessa posizione lavorativa, scegliendo un contesto diverso, oppure cambiare radicalmente lavoro e settore. Una scelta, questa, senza dubbio complessa, ma che spesso è guidata da diverse motivazioni: dall’insoddisfazione nei confronti della propria professione alla voglia di rimettersi in gioco per mettere alla prova le proprie capacità e competenze.
In ogni caso, affrontare un cambio di lavoro e di carriera è un passo molto importante, proprio per questo non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto.
Lo confermano gli esperti di Jobiri, il career advisor intelligente che supporta i candidati nella ricerca di lavoro e nell’inserimento nell’organico aziendale.

A volte è una scelta necessaria

Cambiare radicalmente lavoro e settore è una scelta che spesso si rivela necessaria. Le ragioni che spingono a cambiare lavoro possono essere diverse, e possono essere determinate non solo da un licenziamento, ma anche dalla mancanza di stimoli e soddisfazioni a livello professionale e relazionale: i rapporti con i colleghi giocano infatti un ruolo determinante per il benessere nel luogo di lavoro. Ma il desiderio di cambiare lavoro potrebbe essere determinato anche dalla volontà di crescere professionalmente o cambiare radicalmente mestiere, inseguendo sogni e passioni. Oppure, dalla necessità di ricevere una retribuzione più elevata, o ancora, da problemi relazionali con il proprio responsabile.

Servono pazienza, perseveranza e fiducia

Secondo gli esperti di Jobiri l’importante, comunque, è avere piena consapevolezza del perché si vogliono cambiare lavoro e carriera. Solo partendo da questa base è infatti possibile fare le mosse successive per attuare il cambiamento in modo soddisfacente. A tale proposito, è indispensabile mettere in pratica alcune azioni precise, cominciando dall’assumere un atteggiamento positivo e proattivo. Non sempre infatti si riesce a trovare subito un nuovo lavoro, o a far decollare la propria carriera. A volte serve avere pazienza e perseveranza, accompagnate da una forte fiducia nelle proprie capacità.

Seguire corsi di formazione e aggiornare il profilo LinkedIn

Gli esperti di Jobiri consigliano anche di informarsi. Infatti, è opportuno raccogliere informazioni circa il settore di mercato in cui ci si vuole inserire, ed eventualmente, seguire corsi di formazione dedicati per potenziare o ampliare le proprie skill. Non bisogna poi dimenticare che per poter cambiare lavoro o carriera con successo è molto importante aggiornare il proprio profilo sulla piattaforma LinkedIn, e coltivare la propria rete di contatti. Un aspetto sempre particolarmente utile, e da non sottovalutare, per chi è alla ricerca di una nuova occupazione.

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Welfare aziendale: uno strumento sempre più prezioso

Aumenta la consapevolezza sull’importanza del welfare aziendale da parte di lavoratori e aziende. Secondo i dati emersi dalla ricerca Il Welfare di Domani, condotta da Nomisma per l’Osservatorio Cirfood District, la maggior parte dei lavoratori che non usufruisce di piani di welfare in azienda vorrebbe avere questa possibilità. E otto lavoratori su dieci scelgono il posto di lavoro anche sulla base dei servizi di welfare offerti dall’azienda. Anche le imprese sono sempre più coscienti del valore di questo strumento, consapevoli del cambiamento dei paradigmi di ingaggio dei dipendenti e mosse dalla volontà di dare priorità a cura, inclusione e ascolto.
L’87% delle imprese considera il welfare aziendale uno strumento fondamentale per migliorare la vita dei dipendenti, e il 78% per potenziare l’immagine e la reputazione dell’azienda.

Il punto di vista dei lavoratori

Per i lavoratori italiani salute personale, alimentazione, sport e benessere, assistenza familiare sono sempre più centrali. Rispetto al 2019, il 47% ha aumentato l’attenzione rivolta alla salute, il 38% quella dedicata al cibo, il 27% ha incrementato la pratica sportiva all’aria aperta, e per il 25% è cresciuto il bisogno di supporto nella gestione di genitori o parenti anziani. Questo ha portato a guardare con più interesse i servizi di welfare aziendale dedicati alla prevenzione e alla salute (62%), alla conciliazione tra vita privata e lavoro (59%) e al supporto economico (56%). Soluzioni oggi già previste da diverse aziende. Per il 71% dei dipendenti, infatti, l’impresa in cui lavora offre piani di welfare aziendale, soprattutto buoni spesa (47%), servizi di sanità integrativa (46%), previdenza complementare (36%) e ristorazione aziendale (31%).

Il parere degli executive

Il welfare aziendale riveste un ruolo di primo piano anche nella ricerca di un nuovo impiego, e anche chi non ha la possibilità di accedere a piani di questo tipo si dimostra interessato: 9 occupati su 10, tra coloro che non dispongono di un piano di welfare, ne vorrebbero infatti usufruire. Dal punto di vista degli executive i servizi di welfare concorrono a migliorare qualità della vita e benessere dei lavoratori (87%), favorire un buon clima aziendale (81%), potenziare l’immagine e la reputazione dell’impresa (78%), e offrire ai dipendenti l’opportunità di usufruire di servizi per la salute e la prevenzione (69%).

Imprese: nasce l’esigenza di rivolgersi a erogatori di servizi esterni

Attualmente, tra le soluzioni di welfare più diffuse rientrano quelle legate alla gestione della pausa pranzo, presenti nel 72% delle aziende. Per il 71% degli executive le imprese puntano su questo servizio per incidere positivamente sulla qualità della vita e sul benessere degli occupati, per migliorare il clima aziendale e il rapporto con i dipendenti (64%), e per ottimizzare i tempi della pausa pranzo (41%). Da parte degli executive si evidenzia, inoltre, l’esigenza di rivolgersi a provider e soggetti che erogano servizi di welfare aziendale con approccio consulenziale (64%), così da offrire piani di welfare che rispondano alle reali necessità dei lavoratori.

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Mutui per gli Under 36, cosa cambia?

E’ stato appena cambiato il meccanismo che regola i mutui fissi al 100% destinati agli Under 36. Una tipologia di mutuo che nei fatti risultava assente sul mercato a causa degli aumenti dei tassi di interesse. Questa svolta si deve a un emendamento al Decreto Aiuti-ter del Governo. Per comprendere cosa sia cambiato nella pratica, Facile.it ha fatto alcune simulazioni scoprendo che, con le nuove regole, almeno sulla carta le banche potranno tornare a erogare questo tipo di finanziamenti e i giovani potrebbero accedere a tassi migliori e rate più basse di almeno 100 euro rispetto ai mutui attuali. Il problema però è il tempo, dati che questa possibilità scadrà il 31 dicembre 2022. 

Una finestra temporale breve

“È positivo che il Governo sia intervenuto; grazie alle nuove regole, in linea teorica, viene dato agli istituti di credito un margine più ampio per tornare a proporre questo genere di finanziamenti” ha dichiarato  Ivano Cresto, Managing Director prodotti di finanziamento di Facile.it. “Ma il tempo è davvero pochissimo visto che il provvedimento sarà valido solo per coloro che sottoscriveranno la richiesta di accesso al Fondo Garanzia Prima Casa tra l’1 e il 31 dicembre 2022”.
La finestra temporale potrebbe essere troppo breve per avere un impatto significativo sul mercato; sebbene alcune banche stiano già valutando la possibilità di tornare a proporre questi prodotti, non è detto che tutte lo faranno e, in ogni caso, anche dal punto di vista della domanda da parte degli aspiranti mutuatari, i tempi per fruire dell’opportunità sono strettissimi.

Come funziona il nuovo meccanismo?

Il meccanismo in vigore per il mese di dicembre prevede, di fatto, un aumento del tasso massimo a cui potranno essere proposti i mutui fissi agevolati tramite Fondo Consap; oggi il tetto è stabilito trimestralmente da Banca d’Italia attraverso il cosiddetto TEGM (Tasso Effettivo Globale Medio) che, fino a fine anno, sarà pari a 3,20%.
Con la nuova norma, invece, tenendo conto delle attuali condizioni di mercato, Facile.it ha stimato che la soglia massima salirebbe a 4,48%. Nel dettaglio, il valore è stato calcolato considerando che il meccanismo approvato prevede che il tasso soglia sia determinato dal TEGM (come detto pari a 3,20% fino a fine anno) maggiorato di una percentuale “extra” ottenuta come differenza tra l’IRS medio a 10 anni del mese precedente all’erogazione del mutuo (3,15% per il mese di ottobre) e l’IRS medio a 10 anni del trimestre in cui è stato definito il TEGM in vigore (quindi aprile-maggio-giugno, pari a 1,87%). Nel nostro caso, quindi: 3,20% + (3,15%-1,87%). Questo dovrebbe dare alle banche un margine più ampio per tornare a proporre agli Under 36 anche i mutui agevolati a tasso fisso al 100%.

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PMI, il cybercrime fa paura quasi quanto il drastico calo delle vendite

Addirittura più gravi di questioni legate all’affitto degli spazi lavorativi e all’introduzione di nuove normative: le piccole e medie imprese temono gli attacchi informatici quasi quanto un drastico calo delle vendite. Sono infatti questi due possibili scenari quelli che spaventano di più gli imprenditori: a dirlo è un recente sondaggio globale di Kaspersky, condotto su 1.307 decision-maker di aziende con un numero di dipendenti compreso tra 1 e 999. Sebbene i dati sintetizzati indichino che gli incidenti di cybersecurity siano il secondo tipo di criticità più difficile, superati dal forte calo delle vendite, gli intervistati che rappresentano le medie imprese (50 – 999 dipendenti) hanno valutato entrambe le tipologie come ugualmente complesse. Il 13% degli intervistati di piccole e medie aziende ritiene addirittura che gli attacchi online siano la sfida più impegnativa. I risultati della ricerca indicano anche che la probabilità di incorrere in un incidente di cybersecurity aumenta in base al numero di dipendenti dell’azienda. Sebbene solo l’8% delle organizzazioni con un numero di dipendenti compreso tra 1 e 8 abbia dichiarato di aver affrontato un incidente di sicurezza informatica, questa percentuale sale al 30% tra le aziende con più di 501 dipendenti. 

Un valore da proteggere

Le piccole e medie imprese andrebbero protette poichè contribuiscono in modo determinante all’economia globale: secondo la World Trade Organization, le PMI rappresentano il 90% di tutte le imprese del mondo. “Oggi gli incidenti di cybersecurity possono interessare le aziende di tutte le dimensioni e incidere in modo significativo su attività, redditività e reputazione. Tuttavia, come mostra il nostro report Incident Response analytics, nella maggior parte dei casi gli avversari sfruttano evidenti lacune nella sicurezza informatica di un’organizzazione per accedere alla sua infrastruttura e rubare denaro o dati. Questo suggerisce che le misure di protezione di base, accessibili anche alle piccole aziende, come efficaci policy di password, aggiornamenti regolari e la consapevolezza dei dipendenti in materia di sicurezza, se non vengono trascurate, possono contribuire in modo significativo alla cybersecurity dell’azienda”, ha commentato Konstantin Sapronov, Head of Global Emergency Response Team di Kaspersky.

Le raccomandazioni da mettere sempre in atto

Per mettere al riparo da eventuali cybercriminali il proprio patrimonio aziendale, compresi i dati dei dipendenti, vale la pena ricordare le classiche raccomandazioni suggerite dagli esperti. Si tratta di implementare la policy di password forti, richiedendo che la password di un account utente standard abbia almeno otto caratteri, un numero, lettere maiuscole e minuscole e un simbolo speciale. Ovviamente le password vanno modificate se esiste il sospetto che siano state compromesse: per essere più sicuri, si può adottare un sistema di sicurezza con un gestore password integrato. Ancora, è importante aggiornare regolarmente software e dispositivi e proteggersi dal ransomware  con soluzioni di sicurezza capaci di identificare e bloccare malware sconosciuti.

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Rivoluzione bio: il mercato italiano nel 2022

Le dimensioni del mercato italiano del bio segnalano la presenza di alcune trasformazioni, effetto sia della progressiva uscita dalla crisi pandemica sia della ritrovata socialità degli italiani. Negli ultimi 6 mesi, infatti, più di sei italiani su 10 hanno consumato prodotti biologici fuori casa, in bar, ristoranti, pizzerie. E nel 2022 le vendite alimentari bio hanno raggiunto 5 miliardi di euro, rappresentando il 3,5%delle vendite al dettaglio biologiche mondiali. Inoltre, nel 2022 l’89% delle famiglie italiane ha acquistato bio almeno una volta. Una quota stabile rispetto al precedente monitoraggio realizzato nel 2021 dall’Osservatorio SANA di BolognaFiere, curato da Nomisma.

I consumi fuori casa superano il miliardo di euro

A trainare la crescita sono i consumi fuori casa, che hanno superato il miliardo di euro (+53% a valore), grazie alla dinamica della componente legata alla ristorazione collettiva (+20%) e della ristorazione commerciale (+79%). I consumi domestici, dopo il trend positivo degli ultimi anni, accusano invece una flessione (-0,8%), che risente della battuta d’arresto registrata dalla rete dei negozi specializzati (-8% rispetto allo stesso periodo del 2021). Di contro, la Distribuzione Moderna conferma le dimensioni del 2021 (+0,8% a valore) mentre crescono del 5% gli altri canali (vendita diretta realizzata in mercatini e aziende, gruppi d’acquisto solidale, farmacie, parafarmacie ed erboristerie).

L’export bio cresce del +16% 

Molto positiva la performance dell’export bio, che nel 2022 ha raggiunto 3,4 miliardi di euro, con una crescita rispetto all’anno precedente del +16%. Sul fronte dell’offerta, l’Italia si conferma dunque Paese leader nel settore biologico per quota di superficie agricola, operatori ed export. Al tempo stesso, si registrano trasformazioni che riguardano i consumi interni: l’incidenza dei consumi bio sul totale dei consumi alimentari è ancora bassa rispetto ai principali paesi europei.

“Una leggera decrescita dei consumi domestici”

“Per la prima volta si registra una leggera decrescita dei consumi domestici, in controtendenza rispetto a quelli della ristorazione, commerciale e collettiva, e all’export – commenta Maria Grazia Mammuccini, Presidente FederBio -. É evidente a tutti che il quadro dei consumi negli ultimi due anni è stato stravolto dalle emergenze che si sono susseguite – continua Mammuccini -. È fondamentale infatti far crescere sia la produzione sia i consumi utilizzando al meglio gli investimenti stanziati per il comparto, quasi 3 miliardi di euro per i prossimi 5 anni, sostenendo gli agricoltori nella transizione agroecologica per tutelare l’ambiente, contrastare i cambiamenti climatici e favorire un’occupazione agricola, in particolare di donne e giovani, sempre più interessati al metodo biologico”.

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Trasformazione digitale: occorre accelerare l’evoluzione delle Pmi

Nel percorso verso il recupero della competitività per le Pmi italiane l’evoluzione digitale rappresenta una grande opportunità per crescere o tornare a crescere.
Se la pandemia ha contribuito a imprimere un’accelerazione nell’adozione della tecnologia da parte di aziende e professionisti, è fondamentale quindi aiutare le Pmi a sviluppare competenze necessarie, evolvere i propri processi e capire come trarre il massimo beneficio dalle nuove tecnologie. È quanto emerge dall’Osservatorio PMI di American Express, in collaborazione con BVA Doxa, che evidenzia come negli ultimi due anni la maggior parte delle Pmi (66%) dichiari di avere subito perdite, pari addirittura a un quarto del business.

Smart working ed e-commerce aiutano le imprese
Durante la pandemia, aziende e professionisti hanno continuato a essere produttivi soprattutto grazie allo smart working. Il 48% delle Pmi è ricorsa a questa modalità proprio in relazione all’epidemia: solo il 6% del campione aveva già programmato di implementare il lavoro agile. Il 31% delle aziende ha rivisto anche i processi interni finalizzati alla digital transformation, e quanto all’utilizzo dell’e-commerce, nonostante il 48% dichiari di svolgere attività di export e il 19% è intenzionato a farlo in futuro, risulta contenuto. Di fatto il 17% delle aziende fa ricorso al commercio elettronico e 2 aziende su 10 sono interessate a implementare il commercio online. Un dato raddoppiato per le aziende operanti nel commercio.

Investimenti tecnologici: per il 60% meno di 10.000 euro l’anno
Per accelerare la digital transformation è fondamentale incrementare gli investimenti dedicati alla tecnologia. Secondo quanto dichiarato dalle imprese, il 60% alloca meno di 10.000 euro all’anno per le dotazioni digitali, il 30% da 10.000 a 20.000, e solo l’8% oltre 30.000 euro. Gran parte di questi investimenti in tecnologia vengono però dedicati alla gestione digitalizzata dei documenti (70%) e ai social media (62%), considerati anche gli strumenti digitali più utili (64%).
Gli investimenti vengono destinati poi all’e-Government e alle interazioni online con le PA (51%), alla cybersecurity (50% e alle tecnologie cloud (40%).

La comunicazione digitale è “social”
Il 98% delle Pmi ha almeno un canale di comunicazione digitale. In particolare, il 96% un sito o un’app aziendale, e il 68% un profilo social, che però vengono utilizzati prevalentemente per far conoscere il proprio brand e i propri servizi e non per aumentare il business. Probabilmente è per questo che il canale social più utilizzato dalle Pmi sia Facebook (91%), seguito da Instagram (36%), Linkedin (28%), e YouTube (4%). Permane però ancora un 11% di imprese prive di un sito Internet. Quasi un’azienda su due (44%) ha invece fatto investimenti in campagne digital, e per il 36% si tratta di un’esperienza degli ultimi 2 anni, mentre un ulteriore 13% è interessato a fare comunicazione digital.

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Export legno-arredo: nel primo trimestre 2022 Lombardia prima regione

Con una quota del 28% la Lombardia si conferma la prima regione per valore esportato per la filiera legno-arredo, +22,8% sul primo trimestre 2021. Quanto all’andamento complessivo delle regioni per la filiera le esportazioni sono quasi tutte in crescita, a eccezione di Campania e Molise che chiudono rispettivamente a -19,2% e -1%. Alla Lombardia seguono Veneto (+14,6%), Friuli Venezia-Giulia (+26,4%), Emilia-Romagna (+14,1%) e Toscana (+28,1%). A livello provinciale, invece, Treviso è sempre in testa alla classifica (+7,6%) rispetto a gennaio-marzo 2021, ma è Pordenone a registrare la crescita più significativa (+31%), seguita da Monza e Brianza (+22,6%). Lo rivelano i dati sui flussi commerciali nel primo trimestre 2022 elaborati dal Centro Studi FederlegnoArredo.

Si esportano soprattutto mobili

A livello di comparti sono le esportazioni di mobili a pesare di più: la Lombardia, con quasi 800milioni di euro registra una crescita del 24,1% rispetto ai primi tre mesi 2021, ed esporta soprattutto in Francia (+18,3%) e negli USA (+44,2%). Il Veneto (776milioni di euro, +14,8%) in Germania (+31,9%), il Friuli Venezia-Giulia (503milioni, +28,5%) nel Regno Unito (+45,6%) e negli USA (+71,9%), l’Emilia Romagna (226milioni, +14,5%) in Francia (+1,9%) e in Cina (+44,8%) e le Marche (146milioni, +10%) soprattutto negli USA (31,5%). Treviso è la provincia che esporta più mobili (481milioni, +6,5%), ma è Vicenza a registrare la crescita maggiore (129milioni, +49,1%), seguita da Bari (122milioni, +35%).

Illuminazione: Milano e Brescia sul podio

Anche per l’illuminazione la Lombardia si conferma la prima regione per valore esportato nei primi tre mesi del 2022, con 210milioni di euro e una crescita del 10,8%% rispetto ai primi tre mesi 2021.
Germania e Francia le prime due destinazioni, in crescita del 3,5% verso il primo Paese, in flessione (-4,8%) nel secondo. Ma sono le esportazioni verso gli USA (+68,7%) e gli Eau (+49,2%) a registrare gli andamenti più significativi tra i primi 10 mercati di destinazione. Milano e Brescia le principali province per valore esportato (rispettivamente 69milioni, +7,6% e 46milioni, +1,6%). Bergamo la provincia che cresce di più in Lombardia (26milioni, +57,3%).

Legno: esportazioni verso la Cina +128,6%

Anche per il legno la Lombardia si conferma la prima regione per valore esportato, riferisce Askanews. Con 168milioni di euro e una crescita del 33,8% esporta principalmente prodotti in legno (158milioni di euro, +34,3%) verso Germania (+31%), Francia (+21,8%) e USA (+22,3%), ma sono le esportazioni verso la Cina a registrare la crescita più rilevante (+128,6%). Il Veneto invece esporta principalmente tronchi e segati (44milioni di euro, +25%) verso il Regno Unito (+37,3%). Bolzano è la prima provincia per valore esportato nel totale legno (57milioni, +31,6%), mentre Mantova registra la crescita più alta (+54,5%, 38milioni.

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