Commercio digitale: crescita a doppia cifra anche con l’IA

Mancano ancora pochissime settimane al Natale e già si scaldano i motori per lo shopping destinato ai regali. Ma quali saranno le tendenze di acquisto? Risponde a questo quesito lo Shopping Index relativo al terzo trimestre 2023 redatto da Salesforce, che offre un’interessante panoramica dei movimenti dei consumatori.
Nel contesto di una crescita globale del commercio digitale che è rimasta costante (+1%), l’Italia ha registrato un notevole aumento del 17% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, confermando e superando il trend positivo evidenziato nel trimestre precedente, quando la crescita si era attestata all’8%.

Come si evolve il commercio digitale in Italia e nel mondo

In questo contesto di crescita, l’interesse dei clienti per gli acquisti online è rimasto saldo, con un aumento del traffico online del 3% a livello globale e del 7% in Italia. Ciò indica la continua propensione dei consumatori a esplorare prodotti sia attraverso piattaforme digitali sia nei negozi fisici, dimostrando una preferenza per l’utilizzo di entrambi i canali per soddisfare le proprie esigenze di acquisto.

A livello europeo, l’analisi del trimestre rivela un aumento del 9% nel commercio digitale, accompagnato da un incremento del 2% nelle unità per transazione, sebbene il volume complessivo degli ordini sia diminuito del 3%. Questa tendenza può essere in gran parte attribuita all’aumento dei prezzi, con un incremento medio dell’11% nei costi di vendita.

Il ruolo dell’intelligenza artificiale nell’e-commerce

Uno dei trend più significativi emersi dagli ultimi dati è l’importanza crescente dell’intelligenza artificiale nell’esperienza di acquisto online. Secondo i dati raccolti da Salesforce all’inizio di quest’anno, si prevede che l’IA influenzerà gli acquisti online globali per un valore stimato di 194 miliardi di dollari durante le festività natalizie.
Oltre il 17% dei consumatori ha già utilizzato tecnologie di intelligenza artificiale generativa per cercare e trovare ispirazione per gli acquisti, mentre il 10% prevede di utilizzarle per compilare la propria lista regali. Nel terzo trimestre, il numero di ordini in cui i consumatori hanno seguito raccomandazioni di acquisto generate dall’intelligenza artificiale è aumentato del 6% su base annua a livello globale.

La resilienza degli italiani

Maurizio Capobianco, area vice president di Salesforce, ha commentato la ricerca affermando: “Questi dati indicano chiaramente una tendenza significativa nel comportamento dei consumatori italiani. L’Italia sta dimostrando un notevole dinamismo nel settore del commercio digitale, una conferma della resilienza dei consumatori italiani nonostante i cambiamenti economici globali”.

Le cifre rivelano una crescita significativa del commercio digitale in Italia e il crescente ruolo dell’intelligenza artificiale nell’orientare le scelte di acquisto dei consumatori a livello globale, con implicazioni importanti per il settore dell’e-commerce e le festività natalizie in arrivo.

Pagamenti digitali, nel primo semestre valgono 206 miliardi di euro

Nel primo semestre del 2023, i pagamenti digitali in Italia hanno registrato un notevole aumento, raggiungendo la cifra di 206 miliardi di euro. Questo rappresenta una crescita del 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nonostante il forte impulso causato dalla pandemia stia gradualmente diminuendo, è previsto che entro la fine dell’anno i pagamenti digitali possano raggiungere un valore compreso tra 425 e 440 miliardi di euro, avvicinandosi così al totale dei pagamenti in contanti.

Questi dati emergono dall’edizione semestrale dell’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il Convegno “I pagamenti digitali in Italia nel 2023”.

La “miccia”? E’ stata la pandemia

La pandemia ha spinto gli italiani verso modalità di pagamento che non coinvolgono contante, accelerando notevolmente l’adozione dei pagamenti digitali, un settore in cui l’Italia era in ritardo rispetto all’Unione Europea. Tuttavia, la crescita dei pagamenti digitali si è ora stabilizzata a un tasso simile a quello precedente alla pandemia, con un aumento medio annuo del 10,5% nel periodo 2016-2019. Nel primo semestre del 2023, il numero di transazioni digitali è aumentato del 17,6%, raggiungendo 4,5 miliardi, mentre il valore medio delle transazioni è sceso a 45,7 euro, quasi due euro in meno rispetto all’anno precedente.

I pagamenti con carta di credito stanno crescendo più velocemente dell’inflazione (stimata al 6,4% a giugno 2023), indicando che gli italiani stanno sempre più utilizzando i pagamenti elettronici. Tuttavia, senza ulteriori stimoli o misure per promuovere l’uso dei pagamenti digitali, si prevede che la crescita si stabilizzerà nei prossimi anni ai livelli pre-pandemici.

I pagamenti contactless a più di 100 miliardi di euro

Tra i pagamenti fisici, quelli “contactless” hanno superato i 100 miliardi di euro nel primo semestre 2023, sebbene con un tasso di crescita più moderato rispetto al passato (+25%). Questo indica che il contactless sta raggiungendo un livello di maturità, con oltre il 70% dei pagamenti fisici effettuati con carta.
Nel frattempo, i pagamenti tramite dispositivi mobili e wearable all’interno dei negozi continuano a crescere rapidamente, con un transato di 12,2 miliardi di euro (+97%) nel primo semestre e 450 milioni di transazioni (+108%).

Tre milioni di POS in tutta Italia

In Italia, sono attualmente presenti oltre 3 milioni di terminali POS, uno dei più alti numeri in Europa, sebbene il tradizionale POS stia gradualmente cedendo il passo a nuovi strumenti come il Mobile POS e lo Smart POS, che promettono un’evoluzione nell’accettazione dei pagamenti digitali.

Un altro trend significativo è rappresentato dal “Buy Now Pay Later,” che è cresciuto nel corso dell’ultimo anno. Tuttavia, il cambiamento nei contesti macroeconomici e i timori legati all’indebitamento dei consumatori stanno portando operatori del settore a rivisitare il loro modello di business per renderlo più sostenibile.

Un contrasto all’evasione fiscale

Infine, l’aumento dei pagamenti digitali offre l’opportunità di combattere l’evasione fiscale, poiché i pagamenti con carta sono più tracciabili rispetto al contante. Una ricerca dell’Osservatorio Innovative Payments ha rivelato che il 35,3% del transato in contanti non viene dichiarato, evidenziando il potenziale benefico dei pagamenti digitali nella lotta all’evasione fiscale.
Tuttavia, è importante bilanciare la promozione dei pagamenti digitali con il mantenimento del contante per garantire l’inclusione finanziaria di tutti.

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Anche il packaging dei prodotti alimentari deve essere sostenibile

Le aziende del settore agroalimentare possono e devono intraprendere azioni di sostenibilità per la salvaguardia della salute e dell’ambiente. E in cima a queste c’è la riduzione dei materiali impiegati per il confezionamento dei prodotti, oppure la sostituzione dei materiali plastici presenti negli imballaggi. Insomma, è dal packaging che le aziende devono iniziare per essere sostenibili.
La quarta edizione dell’Osservatorio Packaging del Largo Consumo, realizzato da Nomisma, rileva l’impegno da parte delle aziende proprio per il recupero e il riuso degli imballaggi, o il ricorso a materiali in grado di garantire un minor impatto ambientale La filiera agroalimentare non sfugge dallo scacchiere delle responsabilità della crisi climatica, tanto da essere considerata dagli italiani il quarto settore maggiormente responsabile del climate change, dietro a industria energetica, trasporto aereo e trasporto su gomma.

Ridurre i rifiuti generati dall’imballaggio dei cibi

Per ridurre i rifiuti generati dal packaging dei prodotti, e aumentare la quantità di confezionamento riciclato, le caratteristiche più ricercate dagli italiani sono assenza di overpackaging (58%), totale riciclabilità (56%), ridotte quantità di plastica (47%), basse emissioni di CO2 (46%) e utilizzo di materiale riciclato (45%). Per i manager coinvolti dalla ricerca, invece, le caratteristiche di sostenibilità del packaging devono essere oggettive e misurabili, adottate solo dopo studi e valutazioni scientifiche dell’effettivo impatto dell’imballaggio sull’ambiente. In particolare, i criteri principali in base ai quali l’impresa valuta la sostenibilità del packaging sono la riduzione delle emissioni di CO2, la riciclabilità dei materiali e l’impiego di materiali di riciclo.

Non basta posizionare il brand

La valorizzazione delle azioni svolte dalle aziende in fatto di tutela dell’ambiente non riguarda solo il posizionamento del brand, ma anche l’informazione. In pratica, “trasmettere ai consumatori le conoscenze utili a valutare in che modo la scelta di acquisto di un prodotto in alternativa a un altro possa generare un diverso impatto sull’ambiente”, spiega Valentina Quaglietti, Head of Customer Observatories di Nomisma.
Le informazioni circa lo smaltimento e il riciclo, la riduzione del materiale impiegato e la sostenibilità delle fonti energetiche e delle materie prime usate sono quindi i principali argomenti da comunicare al consumatore. Principalmente, tramite le etichette e i canali social dell’azienda.

Agenda ONU 2030: servono diversi modelli di produzione, consumo e riciclo

“Per le sue caratteristiche tecniche il packaging può rappresentare un valido supporto al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030 – aggiunge Quaglietti -. D’altro canto gli obiettivi dell’Agenda 2030 rendono necessario un approccio sostenibile dei modelli di produzione, consumo e riciclo del packaging. Un orientamento allo sviluppo sostenibile economico, ambientale e sociale che coinvolge mondo produttivo, società civile, istituzioni nazionali e sovranazionali”.
In particolare, l’Osservatorio pone l’attenzione sugli obiettivi che interessano, in maniera diretta o indiretta, Sicurezza alimentare (Sustainable Development Goal 2), Modelli sostenibili di produzione e consumo (Goal 12), Preservare le risorse marine (Goal 14) e Contrasto alla desertificazione (Goal 15).

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Settore della comunicazione: una forte rete di relazione è indispensabile

Qual è l’elemento indispensabile nel mondo della comunicazione? Per oltre l’80% dei professionisti si tratta di costruire un solido e diffuso network di relazioni. Ma la stessa percentuale, ovvero 4 professionisti su 5, ritiene poi imprescindibile un riconoscimento lavorativo e sociale delle proprie competenze e del proprio ruolo di ‘esperti della comunicazione’. E il 73% lamenta l’assoluta mancanza di rappresentanza presso i decisori pubblici, le istituzioni e le business community.
Sono alcuni risultati emersi dell’indagine condotta dall’area comunicatori di Manageritalia executive professional, e realizzata in collaborazione con Astraricerche, Com&tec e tekon Europe su oltre 30 mila professionisti impegnati stabilmente nel mondo della comunicazione (da pubbliche relazioni, organizzazione eventi, new media, advocacy, comunicazione corporate a social media).

Serve un percorso di formazione specifico per la certificazione delle competenze

Per 4 intervistati su 5, l’85%, nei prossimi 3-5 anni le proprie competenze professionali dovranno crescere per porsi in sintonia con evoluzioni tecnologiche come l’Intelligenza artificiale e i social media. Competenze che per il 63% del campione dovranno essere sempre più certificate, mentre per il 66% è opportuno che esista un percorso di formazione specifico che porti alla loro certificazione, a garanzia delle proprie credenziali e di quelle del cliente. Infatti, per l’84% del campione i committenti non sono sempre in grado di valutare correttamente la vera qualità della comunicazione e dei comunicatori. 

Alcuni aspetti deontologici

Per l’81% degli intervistati però è ‘saltata’ la differenza tra comunicazione e informazione, i cui confini sono spesso labili se non addirittura superati. Una mancanza che dovrebbe essere colmata con una corretta formazione deontologica, soprattutto verso giovani comunicatori. Per il 73% del campione è poi necessario disporre di un soggetto, un’associazione o realtà, capace di rappresentare le istanze della categoria. Infatti solo il 32% risulta iscritto a una associazione professionale. Forte anche per il 68% dei comunicatori la richiesta di un sistema assicurativo capace di tutelare gli operatori dagli eventuali rischi professionali, ed è immancabile per il 69% degli intervistati un sistema di welfare integrativo, che affianchi quello pubblico per una migliore cura della salute del comunicatore e dei suoi familiari.

Un settore che chiede di essere rappresentato, tutelato, valorizzato

“I risultati dell’indagine sono molto significativi – commenta Rita Palumbo, coordinatrice nazionale area comunicatori di Manageritalia executive professional – così come lo è il numero di coloro che spontaneamente hanno partecipato alla survey. Il settore della Comunicazione professionale esiste, produce valore ed è in continua crescita. Chiede di essere rappresentato, tutelato, valorizzato. È un obiettivo dell’area comunicatori rispondere ai bisogni di chi svolge questa professione, ed è un dovere quello di offrire opportunità di lavoro di valore alle migliaia di giovani che si laureano in Scienze della Comunicazione, e che in ambiti professionali adeguati, molto potranno dare all’evoluzione dell’intero settore”.

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Google annuncia tre prodotti contro il cambiamento climatico basati sull’AI

Se da una parte l’Intelligenza artificiale fa paura dall’altra offre opportunità inimmaginabili solo qualche tempo fa, anche in ambito Esg. Ma l’AI può essere un elemento decisivo anche nella lotta al surriscaldamento globale? Secondo Google sì, tanto che annuncia tre prodotti che sfrutteranno Intelligenza artificiale e machine learning per affrontare le sfide ambientali. E aiutare aziende e cittadini a ridurre il proprio impatto ambientale. Si tratta di tre software che combinano AI, machine learning, immagini aeree e dati ambientali per fornire informazioni aggiornate sul potenziale solare, la qualità dell’aria e i livelli di polline. Tutti e tre, riporta Adnkronos, rientrano nelle Application programming interface, le interfacce di programmazione delle applicazioni.

Solar Api 

Il primo, Solar Api, utilizza le immagini aeree di Google per comprendere la forma degli edifici e la posizione degli alberi e le combina al percorso del sole, ai modelli metereologici consolidati e al costo dell’energia in una zona determinata per suggerire dove installare pannelli solari. Questo prodotto nasce dall’iniziativa Project Sunroof lanciata nel 2015, e farebbe risparmiare molto tempo e denaro alle imprese che avrebbero così meno ostacoli nel virare sull’energia solare. Nonostante Solar Api sia ancora in fase di lancio, ha già le informazioni di oltre 40 Paesi, tra cui l’Italia, e oltre 320 milioni di edifici.

Air Quality Api

Il secondo software di Google è Air Quality Api, che fornisce agli sviluppatori analisi sulla qualità dell’aria mostrando un indice su scala da 1 a 100. Un’idea interessante in questo periodo storico, dove i consumatori non si accontentano più delle dichiarazioni fatte dalle imprese che si autodefiniscono ‘sostenibili’, e cercano sempre più informazioni affidabili che provino i risultati ottenuti dalle aziende in ambito Esg. Air Quality Api potrà essere utilizzato in settori come sanità, automotive e trasporti per fornire agli utenti informazioni tempestive sulla qualità dell’aria. Al suo lancio il prodotto comprenderà informazioni per oltre 100 Paesi, tra cui anche l’Italia.

Pollen Api

Il terzo prodotto, Pollen Api, è dedicato al problema delle allergie. L’aumento delle temperature globali stimola la crescita delle piante in molte aree del mondo, influenzando la produzione dei pollini. Anche l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera alimenta la fotosintesi, quindi la crescita delle piante, e ancora una volta, l’effetto è una maggiore produzione di polline. Pertanto, Pollen Api offre agli sviluppatori una previsione giornaliera dei pollini, una mappa del calore previsto per le successive 96 ore, dettagli sugli allergeni presenti nell’aria e consigli su come evitarli. Questo prodotto tiene conto di 15 diverse famiglie e specie di piante, tra cui le graminacee, l’ontano, il frassino, la betulla, la cotonosa, l’olmo, il nocciolo, la quercia, l’ulivo e il pino. Pollen Api sarà lanciato nei prossimi mesi in 65 Paesi, inclusa l’Italia.

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A cosa servono i report sulla sostenibilità?

Gli obiettivi ambientali, sociali e di governance sono traguardi strategici che le aziende si prefiggono per gestire efficacemente il loro impatto sulla società e sull’ambiente. Questi obiettivi rientrano in tre categorie, Ambientale, Sociale, Governance. I report sulla sostenibilità forniscono una visione completa dell’impatto di un’azienda in ambito economico, ambientale e sociale (ESG). La formulazione e divulgazione degli obiettivi aiuta le aziende a implementare cambiamenti fondamentali, posizionandole favorevolmente in un’economia globale sempre più incentrata sulla sostenibilità. In pratica, il report di sostenibilità non fornisce solo una visione completa dell’impatto aziendale in ambito ESG, ma è una guida per modellare il futuro operativo, prevedere i cambiamenti e pianificarli efficacemente, migliorando così l’efficienza complessiva.

Stakeholder e Framework

I consumatori e i potenziali partner commerciali sono più esigenti che mai, e attribuiscono grande importanza all’allineamento dei loro valori con gli impegni dei marchi che supportano.
In questo contesto, il report di sostenibilità dimostra la trasparenza delle aziende su questioni etiche, ambientali e sociali. Nel panorama aziendale odierno, oltre il 90% delle più grandi aziende del mondo segnala il proprio impatto sulla sostenibilità. Esistono più di 600 diversi framework in tutto il mondo che mirano a facilitare la rendicontazione e il monitoraggio dei progressi ESG. Una significativa maggioranza delle organizzazioni opta per i GRI Standards. Gettonati anche i framework alternativi International Integrated Reporting Committee (IIRC) e gli standard del Sustainability Accounting Standards Board (SASB).

GRI e IIRC

Gli standard della Global Reporting Initiative (GRI), rinomati per il loro approccio globale, completezza e flessibilità, si rivolgono ad aziende di tutte le dimensioni. Consentono di misurare la performance e l’impatto delle azioni messe in atto, fornendo indicazioni sugli aspetti economici, ambientali e sociali e attraendo un’ampia gamma di parti interessate, compresi gli investitori.
L’84% delle più grandi aziende del mondo applica le linee guida GRI nell’approccio allo sviluppo sostenibile. L’Integrated Reporting Framework (IRF) dell’International Integrated Reporting Council incoraggia invece la segnalazione integrata di dati finanziari e non finanziari, facendo appello principalmente agli investitori e ai finanziatori globali. I report combinano le informazioni finanziarie annuali tradizionali con i dati ESG, descrivendo in dettaglio la creazione di valore su periodi di breve, medio e lungo termine.

SASB

Gli standard SASB (Sustainability Accounting Standards Board) si rivolgono a un pubblico più ristretto, principalmente investitori. Una delle caratteristiche distintive di SASB, riferisce Adnkronos,  è la creazione di oltre 70 standard specifici del settore. Questi, in combinazione con le mappe di materialità di SASB, possono essere estremamente utili per le aziende che hanno appena iniziato il loro percorso di reporting, aiutandole a identificare gli elementi materiali per il reporting e offrendo un quadro più standardizzato per il benchmarking.

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Passwordless, la tecnologia di autenticazione senza codici è sicura

Sono stati recentemente pubblicati i dati emersi dallo studio “Passwordless in the Enterprise”, il quale rivela che il 76% delle aziende ha subito la compromissione di più account o credenziali negli ultimi 12 mesi, mentre il 62% di esse rende obbligatoria l’autenticazione a più fattori (MFA) per l’intera forza lavoro. Il 52% delle aziende afferma che l’autenticazione senza password ha avuto un impatto positivo significativo sulla sicurezza informatica complessiva. Lo studio è stato condotto da Jack Poller, senior analyst di ESG, e sponsorizzato da Cisco Duo. Lo scopo dello studio era di dimostrare perché la tecnologia di autenticazione senza password di Duo rappresenta una soluzione adeguata per soddisfare le esigenze aziendali.

Obiettivo protezione

ESG ha intervistato 377 professionisti della sicurezza, dell’IT e dello sviluppo di applicazioni di aziende di diverse dimensioni e settori. Oltre alla tecnologia passwordless, lo studio ha analizzato anche l’autenticazione a più fattori, le protezioni dell’identità, i rischi per l’identità e le vulnerabilità dell’identità riscontrate. Un dato rilevante è che la compromissione di più account o credenziali è diventata la norma, con il 76% delle aziende che l’ha subita negli ultimi 12 mesi. Ciò è spesso causato da credenziali perse o rubate, e le aziende spesso faticano a implementare l’MFA per mancanza di budget o competenze, o per il timore che la soluzione possa influire negativamente sulla produttività degli utenti. Nonostante ciò, il 62% delle organizzazioni rende obbligatoria l’autenticazione a più fattori per tutti i dipendenti, e il 52% afferma che l’autenticazione senza password ha avuto un impatto positivo significativo sulla sicurezza informatica complessiva.

Autenticazione senza password, sarà il futuro?

Questo dato dimostra che l’autenticazione senza password si è rivelata vantaggiosa per la maggior parte delle aziende, contribuendo alle loro strategie di sicurezza complessive. Di conseguenza, ci si aspetta un aumento nell’uso di tale tecnologia, soprattutto considerando che gli investimenti nell’autenticazione forte stanno crescendo.
La scarsa efficacia dell’autenticazione con password e gli attacchi di phishing nei confronti dell’MFA mettono a rischio le aziende, quindi l’adozione della tecnologia passwordless sta diventando una priorità assoluta per garantire una maggiore sicurezza e una migliore esperienza per gli utenti.

Contro attacchi sempre più frequenti

In conclusione, la tecnologia passwordless si dimostra promettente per migliorare la sicurezza informatica delle aziende e sembra essere il passo giusto da compiere in un momento in cui gli attacchi informatici sono sempre più frequenti e sofisticati.

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Imprese, sostenibilità e innovazione nel 2023: la fotografia dell’Istat

Oltre agli scenari economici globali incerti e instabili sul sistema produttivo italiano pesano l’elevata frammentazione e la sua scarsa propensione a investire. Soprattutto da parte delle imprese piccole e micro. Tuttavia, a quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Istat per il 2023, l’anno passato il mondo delle imprese italiane ha mostrato una notevole capacità di resilienza agli shock originati dall’incremento dei prezzi dei beni importati, e in particolare dai prodotti energetici. E nei primi mesi del 2023, appena fuori dalla fase più acuta della crisi energetica, una quota rilevante di imprese italiane nella manifattura e nei servizi di mercato ha intrapreso o pianificato l’adozione di strategie di sviluppo sostenibile. 

Incentivi pubblici a R&S: stimolo efficace, ma selettivo

Nel corso del 2022, comunque, “si è registrato un ampio recupero delle esportazioni, fortemente penalizzate durante la fase più acuta della pandemia – commenta l’Istat -. La partecipazione alle catene globali del valore si accompagna a una maggiore competitività sui mercati internazionali, ove quest’ultima è strettamente legata anche alla capacità di innovare e di investire in conoscenza. Inoltre, le imprese innovative godono di significativi vantaggi nelle performance economiche e nella propensione all’export, anche a parità di dimensione media di impresa. Gli incentivi pubblici a R&S, con il meccanismo del credito di imposta, sono uno stimolo efficace, ma selettivo, alla crescita della produttività totale dei fattori, in particolare per le imprese esportatrici manifatturiere e multinazionali”.

Propensione all’innovazione e dimensione aziendale

Nel mondo imprenditoriale, ancora caratterizzato dalla forte prevalenza di Pmi (solo l’1% è costituto da grandi aziende), diventano di fondamentale importanza innovazione, ricerca e sviluppo.
La propensione all’innovazione cresce all’aumentare della dimensione aziendale: se nelle piccole imprese una su due è attiva sul fronte dell’innovazione, in quelle di media dimensione il 65,7% svolge attività innovative, e nelle grandi tre su quattro innovano. Il Rapporto evidenzia che le imprese innovatrici godono di un differenziale positivo (+37%) di produttività del lavoro rispetto alle non innovatrici. Differenziale che aumenta per le imprese innovatrici attive nella R&S (+44,7%) ed è massimo nelle grandi imprese attive nella R&S (+46,7%).

Più investimenti in R&S uguale più produttività

Tra le innovatrici, le imprese che investono in R&S beneficiano di un differenziale positivo di produttività rispetto a quelle che non svolgono attività di R&S (+5,6%). Il differenziale è massimo nel settore dei servizi (+8,2%).
Nel triennio 2018-2020, il 50,9% delle imprese industriali e dei servizi con 10 o più addetti ha svolto attività innovative di prodotto e di processo. La quota è in calo di circa 5 punti percentuali rispetto al triennio precedente. Tra le cause della sospensione o riduzione dell’innovazione c’è stata l’emergenza sanitaria, indicata dal 64,8% delle aziende con attività innovative, in particolare per le più piccole, il 66,7, contro il 50,2% delle grandi.

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PNRR: le Pmi investono su digitalizzazione e innovazione d’impresa

Un’indagine condotta da Qonto, in collaborazione con OnePoll, ha indagato lo stato di digitalizzazione delle Pmi italiane, analizzando il comportamento nei confronti degli incentivi previsti dal PNRR, il livello di competenze digitali, e gli investimenti nella formazione. Secondo l’indagine, il 55% delle Pmi ha già fatto ricorso agli incentivi, un dato in crescita rispetto al 2022 (43%), mentre tra quelle che non hanno ancora fatto ricorso ai fondi, quasi il 70% ha intenzione di usufruirne nel corso del 2023. Per quanto riguarda gli impieghi dei fondi, l’82% utilizzerà gli incentivi per investire nella digitalizzazione e innovazione tecnologica dell’impresa.
Il PNRR, organizzato in 6 missioni, prevede per l’Italia 191,5 miliardi di fondi per innovazione e digitalizzazione, transizione ecologica e inclusione sociale entro il 2026. A oggi l’Italia ha ricevuto dalla Ue quasi 67 miliardi di euro. 

Aderiscono agli incentivi soprattutto le realtà tra 50 e 250 dipendenti

Dall’indagine emerge in particolare che ad avere già aderito agli incentivi continuano a essere soprattutto le Pmi più grandi. Tra le aziende da 50 a 250 dipendenti il 59% ne ha già fatto ricorso, in crescita rispetto al 2022 (56%), mentre tra le micro-imprese fino a 10 dipendenti solo una su quattro (25%) si è già attivata per utilizzare i fondi. Solo il 35% delle Pmi però ha utilizzato e vuole utilizzare i fondi come il React-Eu a sostegno di Pmi e professionisti contro il caro bollette, che per l’Italia presenta una disponibilità di 14,4 miliardi. Interessante notare come la percentuale si alza tra le micro-imprese fino a 10 dipendenti (57%).

L’Intelligenza Artificiale entra in azienda 

L’impegno verso la digitalizzazione implica la disponibilità di risorse formate e competenti, il 66% dichiara infatti di avere necessità di profili con expertise specifiche per la propria azienda, ma oltre un’impresa su due (56,5%) riscontra difficoltà nel reperire questi profili. Digitalizzazione e innovazione sono aspetti che vanno di pari passo, e la spinta verso l’innovazione tecnologica è confermata anche dal 43% degli intervistati, che dichiara di aver adottato o aver intenzione di adottare nel prossimo futuro tecnologie di Intelligenza Artificiale nella propria azienda.

Pronte per i conti digital

L’indagine Qonto rivela inoltre che oltre il 77% degli intervistati utilizza regolarmente almeno un’app per pagamenti, attività bancarie, investimenti, prestiti o altre attività finanziarie nella propria vita personale o professionale. Il 72% delle Pmi preferisce effettuare pagamenti con carte di credito e debito, il 22,5% si affida a pagamenti via app, e solo il 5,5% in contanti.
Il 62% delle imprese poi ha almeno un conto digital: tra queste quasi il 46% sono aziende molto giovani (meno di tre anni di vita) o startup. Tra quelle che utilizzano solo soluzioni tradizionali, il 56% circa si dice pronta all’adozione di un conto digital.

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Gli italiani e la paura di volare: 2 su 10 resterebbero a terra 

Alcuni si divertono dal momento in cui mettono piede in aeroporto, si godono l’intera esperienza senza pensieri fino a quando, arrivati a destinazione, ritirano le valigie. Altri si preoccupano continuamente che possa accadere qualcosa e si lamentano di tutto ciò che riguarda il volo. Secondo un’indagine condotta dal motore di ricerca di voli e hotel jetcost.it, sette italiani su dieci amano l’esperienza del volo, e solo due su dieci sono aerofobici. Ma quali sono le paure più comuni delle persone in aeroporto E cosa preoccupa di più una volta saliti sull’aereo?

Un’esperienza gradita, ma con qualche timore 

Il sondaggio di jetcost.it ha intervistato 3.000 persone di età superiore ai 18 anni che hanno viaggiato almeno una volta negli ultimi due anni. Inizialmente è stato chiesto a tutti se l’esperienza di viaggio in aereo, dall’aeroporto di partenza a quello di destinazione, fosse stata gradita, e sette su dieci hanno dichiarato di aver apprezzato l’esperienza complessiva (69%). In seguito è stato chiesto a tutti gli intervistati se avessero qualche timore nel viaggiare in aereo in generale, e il 78% ha risposto di sì.

Cosa spaventa di più? Perdere volo, bagaglio, documenti

Dividendo l’esperienza del volo tra la fase in aeroporto e il viaggio vero e proprio in aereo, agli intervistati è stato chiesto quali fossero le loro maggiori paure quando si trovano in aeroporto. Le prime dieci risposte sono state perdere il volo, perdere il bagaglio, perdere il passaporto, la carta d’identità o la carta d’imbarco, ‘suonare’ ai controlli di sicurezza, vedere il proprio volo cancellato, dover aprire la borsa ai controlli di sicurezza, avere il bagaglio che pesa più del consentito, avere il volo in ritardo, essere sorpresi con qualcosa che non appartiene al proprio bagaglio, e perdere una coincidenza.

Che fastidio i bambini che piangono!

Per quanto riguarda il volo, agli intervistati è stato chiesto se soffrissero di aerofobia, o paura di volare, e il 21% ha risposto di sì.
Poi è stato domandato a tutti cosa trovassero più irritante, fastidioso o spaventoso durante il volo, con la possibilità di dare tre risposte. E le più comuni, riporta AGI, sono state il rumore (54%), non avere abbastanza spazio per le gambe (39%), la turbolenza (33%), dover aspettare gli altri passeggeri (31%), i prezzi elevati di cibo e bevande (26%), le misure di sicurezza (23%), posto a sedere angusto (21%), sensazione di claustrofobia (16%), e qualità del cibo (11%). I rumori che più infastidiscono i passeggeri sono i bambini che piangono, le persone che parlano ad alta voce, i gruppi di giovani in gita che gridano o le ‘comitive’ di addio al celibato che fanno gli spiritosi, chi russa nel sonno, i genitori che sgridano i figli, e chi è sotto l’effetto dell’alcol.

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